Venerdì, 11 Settembre 2015 00:00

COMMENTO - La fine del ceto medio, il mercato e noi

Il rapporto sui consumi di Coop Italia e quello che significa per il settore dei beni durevoli

La fine del ceto medio è stata certificata anche da Coop Italia, in occasione del tradizionale rapporto sui consumi dei giorni scorsi. Una fine che trova nel tramonto del modello dell'ipermercato il più palmare dei sigilli. Dove sta la notizia? si dirà. A dir la verità non sta da nessuna parte, ma se a sottolinearlo è il più grande gruppo distributivo italiano ci viene da fare qualche riflessione. La prima è che non siamo di fronte a un cambiamento temporaneo bensì a una riorganizzazione profonda del modo di consumare. Il carrello non viene più riempito a prescindere e in modo distratto; al contrario, si compra ciò che è necessario e utile, e si presta un'attenzione sempre più marcata a non sprecare. Con un potere d'acquisto che per fortuna riprende a crescere. Se caliamo questa realtà nel mondo dei beni durevoli, le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi. Le industrie che trionfavano nella cosiddetta pancia del mercato, che ruotava appunto attorno al ceto medio, vanno in difficoltà e si trovano costrette a compiere scelte drastiche, mentre i punti vendita di prossimità tornano a rappresentare il luogo privilegiato dove poter compiere un acquisto realmente consapevole.

 

Serpente ferito

La grande superficie, dal canto suo, si dibatte come un serpente ferito ed è sull'orlo del collasso. Basta osservare le insegne che hanno costruito le loro fortune proprio su metrature gigantesche: stanno attraversando i momenti più duri della loro storia (più duri di quanto possa apparire). Riconvertirsi non è né facile né automatico. Il nostro settore, tra l'altro, sconta l'ulteriore ostacolo di aver permesso che le tare intrinseche nel modello distributivo che si rivolgeva al ceto medio si estendessero dalla grande superficie a quella media e anche piccola. E crediamo che la responsabilità pesi sulle spalle tanto dei distributori (lo strumento del gruppo non è stato riformato quando andava riformato, per esempio, nonostante qualcuno - leggasi Gianfranco Schiava, all'epoca numero uno di Electrolux in Italia - lo andasse dicendo in tutte le salse e in tempi non sospetti) e anche dei fornitori, sempre concentrati nel rimettere a posto i numeri anche ricorrendo a operazioni discutibili "a fine mese". Ma la morte del ceto medio è inesorabile e conduce alla polarizzazione dei consumatori: da un lato coloro che sono costretti a farsi guidare dal prezzo basso, dall'altro quelli che vogliono spendere bene i loro soldi. Ciò significa stravolgimento nell'offerta di prodotto e di servizio. Pertanto nessuno può chiamarsi fuori. Siamo reduci dalla conferenza stampa di Whirlpool Group a Berlino (nella foto Esther Berrozpe, presidente per l'Europa, il Medio Oriente e l'Africa), a poche ore dall'inaugurazione di Ifa 2015. Dopo l'acquisizione di Indesit Company, l'azienda è diventata un patrimonio del tessuto economico italiano più di quanto già non fosse. Un player dal peso enorme e dalle potenzialità forse ancora più consistenti. Ma un player che forse più di ogni altro è chiamato a una oculata gestione del proprio ricchissimo portafoglio marchi e a confrontarsi con il rischio della sovrapposizione tra di essi nonché con quello dello schiacciamento sulla pancia del mercato. Che non esiste più. La morale di tutto questo? Che questi non sono tempi da piccolo cabotaggio ma da visioni, che necessariamente implicano competenze diverse, radicalmente diverse, da quelle servite negli ultimi vent'anni.