Assistiamo quotidianamente al dibattito sull’implementazione dell’intelligenza artificiale nei diversi settori dell’economia e come questa possa aiutare nel gestire modelli di sviluppo. Nel retail, ma non solo, la fonte che alimenta questo strumento sono i famosi Big Data, informazioni raccolte in vario modo, in relazione ai comportamenti di ognuno di noi, molto spesso anche a prescindere dall’atto di acquisto. In teoria dovremmo prenderli come fossero degli ingredienti, inserirli in un software ed attendere la pietanza con cui alimentare la nostra organizzazione.
Detta così sembra che abbiamo trovato la soluzione strategica perfetta, del resto le macchine difficilmente sbagliano. Poi però usciamo di casa e lanciando uno sguardo furtivo alla cassetta della posta troviamo una marea di volantini, ormai standardizzati, con una serie di tagli prezzo che ci fa sussurrare la solita frase prima di gettarlo: “Nulla di nuovo”. Sì, perché nonostante le tavole rotonde sull’argomento “digitalizzazione”, la quotidianità operativa è comunque pressoché sempre la stessa, sin da quando nel 1956 si incominciò a parlare di Intelligenza Artificiale. Paura di cambiare? Assenza di competenze adeguate? Momento inopportuno? Ho una cassaforte piena di monete, i dati, e non so cosa farne, le custodisco con cura utilizzandole con parsimonia e diffidenza, alla stregua di Zio Paperone.
Come già sottolineato nei precedenti articoli, a mio avviso, persiste questo scollamento tra strategia e mercato, frutto di un retaggio culturale difficile da scardinare; il Politecnico di Milano ci ricorda che solo il 14% delle nostre aziende ha raggiunto un buon livello di digitalizzazione.
Nel mese di dicembre ho voluto toccare con mano certe mie valutazioni ed assieme a un collega abbiamo fatto un esercizio in un retail diverso, quello farmaceutico. A volte è opportuno affacciarsi in mondi diversi per comprendere meglio il proprio. Per prima cosa abbiamo analizzato, parlando di persona con alcuni farmacisti, come è organizzato un loro “punto vendita”, differenziando tra prodotti farmaceutici regolati dal servizio sanitario nazionale e prodotti diversi (integratori, cosmesi, medical devices, prodotti per bambini, abbigliamento ecc). Il risultato ci ha fornito alcuni spunti; grazie al sistema di invio automatico della ricetta direttamente in farmacia, sono in grado di conoscere le patologie del paziente e quindi, in teoria, di poter consigliare acquisti a corredo, facendo cross-selling ed up-selling utilizzando i prodotti volgarmente definiti da banco. Questo però non avviene quasi mai. Il paziente, entrato in possesso dei farmaci, non viene intercettato dal farmacista o dall’addetto vendita; esce tranquillamente, a meno che non sia lui a chiedere informazioni.
La stessa Federfarma conferma la tendenza del consumatore ad acquistare i prodotti da banco presso la parafarmacia della GDO e quindi c’è una difficoltà oggettiva a competere con queste strutture. Abbiamo intervistato un campione di 500 persone in tre diverse città, uomini e donne compresi tra i 30 ed i 65 anni, attraverso l’utilizzo di un’APP conosciuta. I risultati sono stati davvero interessanti e smentendo in gran parte l’associazione dei farmacisti abbiamo accertato che il 67,9% degli avventori di farmacia acquisterebbe prodotti diversi dal farmaco ma non trova assistenza adeguata, il 54,3% vorrebbe avere un filo diretto con la sua farmacia di tipo digitale (un APP ad esempio), il 77,5% vorrebbe ricevere sms/whatsapp/e-mail con promozioni e novità su prodotti da banco, infine l’82,7% acquisterebbe tali prodotti on-line proprio dalla farmacia di cui il 51,8 % recapitati direttamente a casa. Insomma, il farmacista perde mercato se si ferma a custodire i dati senza dargli un volto. Un risultato che non deve sorprendere perché il medico ha determinate competenze legate al modello tradizionale di farmacia, che vanno ampliate con nuovi attributi. Certo è che il mestiere del farmacista deve necessariamente evolvere in alcune sue peculiarità, adattandosi ai nuovi bisogni del paziente. Vorrei ricordare che la legge che dava il via alle liberalizzazioni è del 2006, sono passati ben 15 anni.
La domanda quindi è: ”Come dare un volto umano ai dati per renderli velocemente fruibili?”. La società di consulenza Deloitte prova a darci una risposta attraverso una ricerca dedicata al retail negli Stati Uniti, che ha confermato come i trend siano cambiati e si richieda agli attori del mercato uno sforzo in tal senso, sottolineando l’importanza del fattore umano, che guarda caso si ricollega al nostro ultimo articolo sulla centralità nell’organizzazione aziendale degli addetti alle vendite. Quattro sono i concetti messi in evidenza dalla ricerca:
uscire dalle quattro mura del negozio e creare sino all’ossessione un legame tra consumatore, addetti e l’intera organizzazione aziendale;
anticipare e soddisfare i veri bisogni umani del momento; molti ad esempio vorrebbero solo risparmiare tempo, non necessariamente un minor prezzo;
lavorare con sensibilità umana, in altre parole con empatia;
essere autentici ed operare per essere protagonisti del cambiamento del mondo. Non è più sufficiente essere prodotto e prezzo; applicare la scala valoriale del brand.
Come è possibile desumere da queste argomentazioni, la “customer centricity” quindi non è la “price centricity”. Abbiamo dei dati ma se non gli diamo un volto, un cuore e un'anima, non abbiamo assolutamente nulla. La corsa al digitale non deve farci perdere di vista l’aspetto umano, che proprio la pandemia ha riportato in superficie con tutte le sue caratteristiche. Pensate che il 76% degli americani sarebbero disposti a comprare localmente se avessero lo stesso servizio logistico di Amazon: a ben vedere è la medesima cosa che ho riscontrato nella ricerca, in fondo la farmacia non è altro che un’azienda locale.
Ancora una volta è mia convinzione che sia la periferia a dover “dettare” l’adattamento repentino al vertice, proprio perché è a livello locale che si esprime quello che gli americani chiamano humanity, l’attributo più importante che ci differenzia nei comportamenti. A questo punto voglio concludere con due quesiti. Conosciamo il problema dell’aumento speculativo dei noli container per i prodotti e componenti provenienti da altri Paesi. Proprio questa settimana è partita una lettera dei caricatori e spedizionieri europei alla Direzione Antitrust della Commissione Europea, dove si denunciano comportamenti non proprio coerenti da parte di vettori ed armatori con tariffe schizzate alle stelle. Naturalmente questo problema si ripercuoterà per forza di cose sullo scaffale, tanto è vero che il tasso di inflazione inizialmente previsto nell’area UE allo 0,7% nel 2020 è già rimbalzato a +1,4%. Gli spunti di riflessione che vi pongo sono: come le aziende ed il retail riusciranno ad adattarsi velocemente a questo nuovo scenario, se il prezzo è stato ad oggi l’unico strumento di marketing di cui si è abusato, tagliando fuori l’asset umano? E poi: quale sarà l’asset organizzativo che dovrà attutire il colpo e con quali strumenti? Non credo che l’intelligenza artificiale potrà esserci di aiuto nell’immediato, a meno che non assuma sembianze umane.
Luigi Del Giacco
Esperto di Change Management