Molti addetti vendita nel mondo dell’elettronica e dell’elettrodomestico sono ormai abituati alla domanda che diversi clienti prima o poi tirano fuori: “Quanto dura la garanzia?”. Il quesito rivela una verità innegabile: niente va dato per scontato, nemmeno quella che appare come una nostra convinzione dogmatica. Scopriamo insieme alcuni aspetti curiosi e poco conosciuti che riguardano tutte le realtà di vendita, dai piccoli negozi alla grande distribuzione, e che vanno a toccare sia il mestiere dei venditori che l’esperienza fatta da cliente. L’argomento, delicatissimo, è quello della garanzia.
Non dura solo due anni
Sul tema della garanzia “di legge” ci sarebbe molto da dire, tanto sono confuse le idee e ingarbugliati i regolamenti. Ogni qualvolta compriamo un bene abbiamo in realtà due garanzie. Una è quella del venditore, inderogabile e obbligatoria di 24 mesi, che si occupa di eventuali difetti presenti fin dall’origine. La seconda, detta “commerciale”, è opzionale e dalla durata variabile: entra in scena per vizi dovuti all’utilizzo protratto nel tempo. E dove non arriva una, arriva l’altra. Sebbene la legge imponga al venditore di occuparsi di eventuali difetti per 24 mesi, non esiste un obbligo specifico per il produttore. Ecco il motivo per il quale a volte ci è capitato di vedere pubblicità dove venivano reclamizzate auto con “5 anni” di assistenza, oppure lavatrici con dieci, o addirittura venti anni di garanzia sul motore. Oppure ancora Apple, che offre solo un anno per i suoi prodotti acquistati fuori dai propri locali commerciali. Ebbene, quello che molti ancora non sanno è che ci sono fino a 60 giorni di tempo per denunciare il guasto. In buona sostanza, è possibile far valere i propri diritti di garanzia anche 25, oppure 26 mesi dopo l’acquisto del bene, a patto che il difetto si sia presentato entro i 24 mesi. Un esempio pratico. La nostra lavatrice si rompe e nei giorni successivi la garanzia di due anni è in scadenza. Purtroppo dobbiamo partire e rimanere fuori casa per alcune settimane. Una volta rientrati possiamo denunciare l’accaduto e ottenere la riparazione gratuita del bene. Un altro esempio. E’ il 24 dicembre e il nostro telefono si rompe, ma l’abbiamo comprato esattamente la vigilia di Natale di due anni fa. Abbiamo tutto il tempo di attendere la riapertura del negozio dopo le vacanze natalizie per poterlo riportare.
Per farla valere non è necessario lo scontrino
La vendita di un bene è un contratto regolato dall’articolo 1470 del codice civile, il quale ci regala molte informazioni riguardo a questa precisa pratica commerciale. Lo scontrino fiscale, per esempio, non costituisce “prova di acquisto” bensì “documento fiscale” prima di tutto. Specificato questo, un negoziante è tenuto a prestare garanzia su un bene venduto anche senza l’esibizione dello scontrino. L’unica pretesa che può (e deve) avanzare verso il cliente è quella di dimostrare che l’oggetto sia stato comprato nel suo negozio e non da un’altra parte. Per far valere questo diritto, il consumatore a sua volta può utilizzare vari metodi che non siano necessariamente quello dell’esibizione del documento fiscale (che pur rimane il più facile e rapido per dimostrarlo). Per esempio, ha valore la ricevuta del bancomat, oppure i movimenti del proprio conto corrente. Forse non tutti sanno che, inoltre, il codice civile permette anche di avvalersi della garanzia grazie alla testimonianza di una persona terza presente durante l’acquisto, sebbene il valore dell’oggetto non ecceda l’anacronistica cifra di 2,58 euro. In recenti casi, tuttavia, il giudice ha deciso di poter utilizzare la “prova” di un testimone anche per importi superiori.
Non vale su tutto
Chi non ha mai sentito pronunciare la famosa frase: “E’ un mio diritto, ho la garanzia!”, spesso usata a sproposito? Infatti la garanzia non entra in funzione “sempre e comunque” per qualsiasi tipo di problema. Gli accessori, per esempio, non fanno parte del “bene” principale, e quindi non godono a loro volta dei canonici due anni di tutela. Pensiamo per esempio ai caricabatterie presenti all’interno delle scatole dei telefoni (ormai non tutti, per giunta!). Oppure ai joypad delle console di videogiochi. Pensiamo anche a tutte quelle componenti soggette a usura e quindi non sostituibili in garanzia, nemmeno all’interno della finestra dei 24 mesi. Un esempio concreto: gli pneumatici delle automobili. Oppure le batterie al litio di qualsiasi elettrodomestico. Nel 99,99% dei casi un loro malfunzionamento è dovuto al naturale degrado del litio, oppure all’esposizione di esso a fonti di calore oltre la soglia consentita. I difetti estetici, inoltre, spesso non sono considerati in garanzia perché non inficiano il funzionamento dell’oggetto acquistato. Pensiamo ai pixel “bruciati” sui pannelli televisivi o i display. Ogni produttore decide un limite numerico di essi, dando una soglia per far valere (o non valere) la garanzia di conformità.
Chi decide come risolvere il problema
Sebbene un rivenditore che si ritrovi tra le mani un oggetto difettoso possa a sua volta rifarsi sulla propria catena distributiva (ovvero, può richiedere il rimborso o il cambio al suo fornitore o al produttore), la sostituzione di un bene è solo una delle opzioni che la legge gli mette a disposizione. Molti clienti insoddisfatti del proprio prodotto acquistato che presenti un difetto, infatti, tendono a chiedere esplicitamente la sua sostituzione immediata. Per due ragioni, probabilmente. Averne uno identico senza attese, e averlo nuovo. Il venditore, tuttavia, può autonomamente decidere di farlo riparare dal centro assistenza dedicato, nel caso la riparazione non sia eccessivamente onerosa. Uno degli esempi più classici è l’assistenza di un prodotto Apple nel secondo anno di vita: i costi ricadono sul rivenditore, che può quindi decidere se sostituire o far aggiustare il prodotto in base a cosa sia per lui più economico. Se è vero, inoltre, che è il venditore a doversi far carico della garanzia di conformità, è altrettanto vero che al giorno d’oggi tantissimi produttori mettono a disposizione del cliente finale i propri centri assistenza, scavalcando il negozio e rendendo la risoluzione del problema molto più rapida e indolore. Al cliente finale la scelta di dove rivolgersi.
Non esiste una legge che imponga il reso di un oggetto
Ci riferiamo a tutte le vendite concluse all’interno di un “locale commerciale”, come esplicitamente scritto nel codice del consumo. Quello che molti conoscono come il diritto di recesso, infatti, è valido esclusivamente per gli acquisti a distanza. Pensiamo a chi compra online, via posta tramite cataloghi, oppure alle televendite. La legge non prevede che un commerciante sia obbligato a riprendere indietro un oggetto ormai di proprietà del cliente. La vendita è un contratto tra due parti irreversibile se conclusa in modo consapevole. Quello che la stragrande maggioranza delle attività commerciali mette in atto, in buona sostanza, è un favore al cliente. Ognuno infatti chiama questo servizio come preferisce: “sempre soddisfatti”, “reso facile” e via dicendo. Non applicare questo genere di servizio non è una pratica commerciale scorretta o illegale, ma paradossalmente significa seguire la legge così com’è. Inoltre, e proprio per questo, i rivenditori che decidono il cambio merce possono autonomamente impostare le proprie condizioni. Per esempio, non sostituire prodotti dedicati alla cura e igiene della persona (per ovvie ragioni), oppure effettuare un buono acquisto invece che stornare la cifra sulla carta di pagamento. Ogni pratica, in questo senso, è assolutamente libera e legittima.
Il malfunzionamento non è coperto
L’ultimo argomento dedicato al mondo della garanzia che vogliamo approfondire è quello del cosiddetto “malfunzionamento”. Questo aspetto, molto delicato in quanto spesso correlato a una variabile soggettiva come le aspettative del cliente verso il prodotto acquistato, è sempre da verificare e si applica nella grande maggioranza dei casi ai prodotti elettronici. Perché? Sebbene computer, tablet, cellulari e affini facciano parte del grande mondo della tecnologia di consumo, il loro funzionamento dipende da tantissime variabili imprevedibili che spesso nulla hanno a che fare con la costruzione del bene stesso. Un esempio lampante di quanto affermiamo arriva dai dispositivi particolarmente economici e dalle componenti poco performanti. Essi tendono, con molta più facilità rispetto a prodotti top di gamma, a bloccarsi e rallentare. Ebbene, questo problema viene spesso confuso con un difetto del bene stesso, generando frustrazione nel cliente finale e la falsa illusione di poter risolvere il problema cambiando il prodotto con un altro identico. In quest’ultimo paragrafo ci rivolgiamo in modo diretto ai consumatori finali: il malfunzionamento non è coperto da garanzia. Quest’ultima entra in scena solo quando il bene diventa inutilizzabile a causa di un difetto pre-esistente e sconosciuto al momento dell’acquisto. Comprare uno smartphone da 79 euro, facendo un esempio pratico, deve necessariamente allertarvi sul fatto che molto probabilmente il telefono si potrebbe bloccare spesso e non funzionare “sempre e comunque”. Non è un difetto: dipende delle sue caratteristiche tecniche.