Il mercato Retail nell’elettronica di consumo segna, secondo i dati GFK, un 2022 negativo rispetto all’anno precedente. I motivi sono diversi e vanno ricercati a mio avviso in parte nel riposizionamento del mercato su valori più standard rispetto ai picchi pandemici, in parte nelle difficoltà del mondo dei semiconduttori nel far fronte alla domanda del comparto Consumer. Di contro l’ecommerce sta registrando sempre i suoi tassi di crescita anno dopo anno, ma la curva sta iniziando ad avere numeri più terreni: l’Osservatorio del Politecnico di Milano conferma un +10% del 2022 su 2021. La regola del buon Jack Welch, ex AD di General Electric, dice che quando le curve tendono ad appiattirsi è giunto il momento di rovesciare i tavoli e ripartire con nuove idee. Anche ciò di cui abbiamo parlato sino ad oggi relativamente alla comunicazione digital non è certo errato, ma va rivisto in prospettiva e in un certo senso “rovesciato”, appunto.
Strumento di ingaggio
Per molto tempo si è parlato dell’importanza della comunicazione social come strumento di ingaggio del cliente, un modo per tenere la porta aperta al dialogo tra noi e il consumatore che andasse oltre le barriere fisiche del negozio. Oggi questo non è più sufficiente, perché anche la comunicazione digitale soffre di banalizzazione. C’è un eccesso di esposizione al messaggio digitale, che crea una sorta di “waterboarding” nel cliente, il quale reagisce spesso col tornare al prezzo come elemento discriminatorio. La stessa Accenture, colosso americano della consulenza aziendale, si è accorta che in queste condizioni di mercato è giunto il momento di creare una strategia digitale totalmente innovativa e maggiormente esperienziale. Un approccio, allora, potrebbe essere quello di umanizzare la comunicazione digitale identificandola con i cinque sensi, come faremmo per gestire la relazione con un cliente fisico.
Il TATTO: si dice che il contatto fisico sia un segnale tipico di un coinvolgimento positivo dell’interlocutore; se qualcuno cerca di stabilire un contatto è perché è ben disposto nei nostri confronti. Nel mondo digitale il vero contatto avviene a livello di community, cioè di quel gruppo ristretto accomunato da uno stesso complesso valoriale, che consente al negozio di comunicare in maniera efficace e identitaria. Efficace perché parlo ad interlocutori fidelizzati; e identitaria perché quella comunità si identifica nel mio negozio. Ecco che quindi, in un mondo pieno di incertezze, le persone cercano un senso di appartenenza. Di conseguenza i brand di nuova generazione saranno costruiti prima di tutto come community, ridisegnando le dinamiche di fidelizzazione e il coinvolgimento con il marchio stesso.
La VISTA: è giunto il momento di essere identitari anche dal lato dell’immagine. Non è vero che un’immagine vale l’altra o che un video è comunque un video. Pensate che il nostro cervello a distanza di sei mesi ricorda il 25 per cento di un’immagine e solo il 2 per cento a livello uditivo, quindi ciò che diciamo in termini di parole. E’ necessario quindi definire meglio la nostra “palette dei colori”, che verifichi ciò che vogliamo comunicare al cliente in un dato momento. Prendiamo l’esempio del brand “Dolce Frutta Bio”: i colori sono stati selezionati per comunicare l’ingrediente dominante, ciò che dà forza al prodotto. Oltre questo anche la scelta del layout diventa fondamentale: “Che tipo di immagini usiamo? Qual è il soggetto che ci identifica? La famiglia? La Donna?”.
Il GUSTO: qualcuno potrebbe pensare che essendo in un mondo elettronico il senso del gusto abbia poco a che fare con la comunicazione. Gli anglosassoni utilizzano il verbo “to taste”, un suono a noi famigliare nel concetto di testare. In tal senso la comunicazione digitale necessita ormai di avere una doppia via; quella in uscita verso la community, ma soprattutto quella in entrata verso l’azienda. Testare periodicamente la propria comunicazione significa cercare di capire se gli ingredienti che abbiamo utilizzato siano ben assortiti. Potremmo avere un ottimo prodotto, un prezzo centrato, in un periodo stagionale favorevole, ma nella loro combinazione non riusciamo a proporre nel modo giusto, se non puntando sull’unico e solito ingrediente che siamo in grado di dosare da tempo, vale a dire il prezzo.
L’UDITO: viene definito come “sound marketing” e associa un suono o una data traccia musicale all’immagine della propria azienda oppure a una data iniziativa commerciale. Di esempi ne abbiamo diversi, pensiamo alla canzone “Vorrei cantare insieme a voi” di Coca Cola. Ancora oggi tutti sanno a quale prodotto è associato e in quale periodo dell’anno, vero è che spesso sentendola si identifica quel periodo con l’inizio del Natale. Oppure il “Cuore di Panna” dell’Algida che per molti è sinonimo d’estate. E’ un po’ come canticchiare il ritornello di un tormentone, spesso non è la canzone più bella ma quella che ricordi con piacere.
L’OLFATTO: parlando con un imprenditore di comunicazione digitale mi è stato giustamente obiettato che è impossibile parlare di impronta olfattiva. Se fisicamente un negozio può decidere quale essenza personale possa identificare la propria attività, qui la percentuale di ricordo del nostro cervello sale al 35 per cento. Di certo non la posso replicare digitalmente. La comunicazione a compartimenti stagni non funziona più, occorre impostare una strategia integrata, proprio perché il cervello del consumatore non lavora per singoli cassetti autonomi. Se quindi io retail definisco la mia impronta olfattiva, utilizzando per esempio un’essenza nel mio negozio su base di agrumi, la mia comunicazione dovrà richiamare anche questo concetto, attraverso l’utilizzo di immagini e suoni che rimandino a certi profumi.
Comunicazione più strutturata e distintiva
E’ quindi giunto il momento di innalzare la comunicazione ad un livello strutturato e soprattutto distintivo. Vi parleranno di intelligenza artificiale e di metaverso, ma a prescindere dall’efficacia nel breve periodo che è tutta da dimostrare, essi non sono proprio alla portata di tutti. Cambiano le strategie e cambiano anche i canali. Facebook è ancora fondamentale ma non è esaustivo se vogliamo attuare la strategia dei cinque sensi. Pensiamo a Twitch che consente di clusterizzare la community attivando una comunicazione interattiva a due vie, oppure a TikTok per personalizzare lo stile e renderlo identitario, solo per citare due nuove modalità comunicative. Il social selling è la soluzione migliore per verificare la capacità della comunicazione, è lo sbocco naturale della digitalizzazione accostata alla multisensorialità. La rivista “Trend Online” parla di Internet dei Sensi, ovvero dei primi social network multisensoriali che stimolano i sensi come il tatto e l’olfatto per rendere più partecipe e unica l’esperienza social degli utenti. Accanto a questo, le vendite attraverso le piattaforme social media in Italia ancora non registrano una forte crescita come ad esempio quelle cinesi. Le aziende dovranno tenere conto di piattaforme come Pinterest, WhatsApp business e YouTube se interessate a svolgere il commercio elettronico e quindi per rivolgersi a nicchie di potenziali clienti.
Basta operazioni a pioggia
Si parla di nicchie, di segmenti di mercato specifici a cui adattare le azioni. Le operazioni a pioggia lasciano il tempo che trovano, tanto volume per nulla si potrebbe parafrasare, dove il nulla sta nella marginalità. Gestire i segmenti ci riporta però al tema che abbiamo affrontato più volte anche su queste pagine, vale a dire quello dei dati, della necessità di raccogliere informazioni utili sui comportamenti dei nostri clienti. Con una accortezza: l’85 per cento degli utenti online, secondo Accenture, è preoccupato per la propria privacy, quindi è fondamentale rassicurare il consumatore su certe modalità di comunicazione virtuale.
Luigi Del Giacco
Esperto di Change Management
Docente Bianco & Bruno Academy