Prima di tutto, è vero: donne e uomini sono diversi, profondamente. Questo giustifica la differenza di trattamento a scapito delle une in favore degli altri? Certo che no, siamo tutti d’accordo, o quasi, ma al netto di battute e luoghi comuni, il problema della parità fra uomini e donne nella vita di tutti i giorni esiste, in concreto. L' uguaglianza delle persone, e dunque del genere femminile, è implicitamente sancita dalla Costituzione (art.3) e dal 1996 nel nostro Paese esiste un Dipartimento delle pari opportunità, che ha redatto il primo regolamento in questo ambito, e in seguito il Codice delle pari opportunità (art.6 legge 246/2005) le cui disposizioni “hanno per oggetto le misure volte a eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basate sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo”. Nella realtà, infatti, il sacrosanto principio di parità si scontra con comportamenti, tradizioni, retaggi culturali e condizionamenti che rallentano il cambiamento necessario ad eliminare la questione di genere dalla lista dei problemi. La nuova certificazione per la parità di genere ha lo scopo di incentivare la trasformazione virtuosa, attraverso una serie di vantaggi che l’azienda ottiene insieme all’accreditamento: dall’esonero dal versamento di una percentuale dei contributi previdenziali, a un punteggio ‘premiale’ dell’impresa nel caso di partecipazione a procedure per l’accesso a fondi europei, nazionali e regionali o per la concessione di aiuti di Stato, e altro ancora.
Valutazioni adeguate e aiuti alle PMI
Quella sulla parità di genere è una certificazione su base volontaria, sono le aziende a richiederla e viene rilasciata da organismi accreditati presso Accredia, che seguono la specifica prassi di riferimento. Come tutte le certificazioni, infatti, prevede un percorso di ‘accertamento’, un processo che interviene sull’organizzazione aziendale nel suo insieme, con parametri di valutazione, misurazione e rendicontazione definiti dalla prassi di riferimento predisposta dall’Ente Italiano di Normazione (UNI): la UNI/DdR 125:2022. Gli specifici indicatori di prestazione (KPI, key performance indicator) sono relativi a sei aree di valutazione cruciali nella definizione del grado di inclusività e parità di genere, e sono: cultura e strategia, governance, processi Human Resosurces; opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda; equità remunerativa per genere; tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. A ognuna delle aree è stato attribuito un peso percentuale (fatto 100 il totale delle differenti aree), contribuisce a misurare lo stato iniziale dell’organizzazione in via di certificazione ed è termine di riferimento per le valutazioni successive. Con un sistema di proporzionalità ogni indicatore è associato a un punteggio che determina o meno l’ottenimento della certificazione, soggetta a monitoraggio annuale e a verifica ogni due anni. Tutte le imprese che abbiano dipendenti possono accedere volontariamente alla Certificazione, dalle micro (1-9 dipendenti), alle piccole (10-49 dipendenti) alle medie (50-249), alle grandi aziende con 250 dipendenti e oltre; in considerazione però delle significative differenze organizzative e strutturali fra le varie organizzazioni, la prassi di riferimento prevede che gli indicatori siano applicati con un sistema proporzionale e graduale in ragione del profilo dimensionale e organizzativo dell’azienda. Per le micro, piccole e medie imprese sono previsti contributi destinati ‘sia a supportare servizi di assistenza tecnica e accompagnamento alla certificazione sia a sostenere i costi di certificazione’. Per maggiori informazioni: Certificazione delle parità di genere
La situazione in Italia
Nella fascia di età fra i 15 e i 64 anni, le donne occupate sono il 48,6% rispetto al 67,5% degli uomini. Dei 101 mila posti di lavoro persi a dicembre 2020 rispetto a novembre dello stesso anno, 99 mila sono di lavoratrici. La differenza occupazionale aumenta con il numero dei figli. Il tasso di occupazione di persone dai 15 ai 64 anni con due figli è: donne 57,5% - uomini 87,9%; contro un 72,9% femminile e 91% maschile dell’Unione europea. In generale lo stipendio percepito dalle donne è inferiore dal 10 al 20% rispetto a quello dei colleghi maschi. Le imprese a prevalente o totale partecipazione femminile (1milione e 336mila nel 2020), rappresentano il 21,98% del totale iscritto al Registro delle Camere di Commercio. Eppure le donne italiane risultano più istruite degli uomini: secondo il Censis (2019), le laureate sono pari al 56% del totale; il 59,3% delle persone iscritte a dottorati di ricerca, corsi di specializzazione o master sono donne. La maternità rimane un ostacolo tutto femminile per il mercato del lavoro, in Italia (dati Istat 2019) il tasso di occupazione delle madri (25-64 anni) è 54,5%, contro l’83,5% dei padri. La nascita di un figlio determina per la donna una riduzione della probabilità di continuare a lavorare e una perdita reddituale nei 24 mesi successivi alla nascita rispetto a prima (studio INPS).
La parità di genere accresce il valore delle aziende
Nelle note della prassi UNI/PdR 125:2022 si legge: “È noto come la parità di genere sia motore di crescita economica e di sviluppo. Poiché la distribuzione dei talenti e delle capacità tra uomini e donne è la stessa e le donne in media detengono un capitale umano e una produttività non inferiore a quella degli uomini, una piena valorizzazione del talento femminile diventa elemento fondamentale nella creazione della crescita economica. Inoltre, il lavoro femminile rappresenta un contributo diretto alla formazione di PIL e alla creazione di crescita economica, come misurato da molteplici organizzazioni internazionali: secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale se le lavoratrici fossero numericamente pari ai lavoratori, in Italia il PIL aumenterebbe dell’11%. Infine, la partecipazione delle donne alla vita economica e alle decisioni economiche e politiche comporta un allargamento di prospettive che è essenziale per spingere l’innovazione e la performance. La letteratura recente sottolinea che le aziende più inclusive sono in grado di creare un valore più elevato”. Il settore della Distribuzione Moderna vanta il 60% di occupazione femminile: speriamo in tante certificazioni per la parità di genere. (l.c)