“Mercoledì viene il Grande Capo”. Di solito inizia tutto così. L’arrivo di qualche membro dirigenziale viene annunciato per una data ben precisa, non si è certi solo dell’ora esatta.
Nei giorni che precedono la visita nel punto vendita si respira aria elettrica: la regia si lancia su lavori che erano stati procrastinati per mesi, i colleghi vengono distolti dalla vendita per accelerare le operazioni di pulizia, il direttore è in uno stato catatonico.
Se qualcuno potesse inquadrare il negozio con un lungo piano sequenza scorgerebbe espressioni che vanno dall’agitato al depresso. C’è chi si dedica con foga a prezzare la merce esposta, chi si improvvisa merchandiser riorganizzando un lineare, chi invece pare intontito da una granata appena esplosa. In tutto questo il cliente passa non solo in secondo piano, ma diventa addirittura d’intralcio alle operazioni.
Quando mancano poche ore all’ispezione mi chiedo sempre perché stiamo facendo tutto questo sforzo per presentare una situazione idilliaca, quando non rappresenta la realtà dei fatti. E mi domando perché i Grandi Capi, se vogliono realmente vedere un negozio dal punto di vista del consumatore finale, non si presentino così, all’improvviso. Magari in incognito, fingendosi clienti.
Ormai negli anni ho sviluppato due ipotesi. La prima è che siano consapevoli del lavoro straordinario che precede la loro venuta, e che vogliano proprio sortire l’effetto di “pulizie di primavera”. La seconda è che la regia dei punti vendita sfrutti queste occasioni per convincere la base a svolgere in poche ore compiti che altrimenti avrebbero richiesto settimane.
Ma l’effetto che hanno queste improvvisate sul morale della “truppa” è deleterio. Noi commessi siamo tutti un po’ esauriti, il mestiere a contatto col pubblico è fonte di enorme stress, ma la cosa che realmente mi sfianca è quando vengo distolto dal mio obiettivo primario. Che è appunto quello di servire il cliente.
Quando ci viene chiesto di provvedere in tempi brevi a sistemare il punto vendita perché “arriva il Grande Capo” è un po’ come se ci dicessero che tutto quello che abbiamo fatto fino al giorno prima è stato inutile. Noi ci troviamo tra i clienti che chiedono attenzione (per i quali siamo sempre troppo pochi), e l’azienda che pretende risultati (per quest’ultima siamo sempre in troppi). Ed è lì che nasce la frustrazione.
Il giorno della visita mi sembra sempre di assistere al passaggio del “prof. Guido Tersilli”. Come nel famoso film con Alberto Sordi, infatti, la delegazione passa tronfia tra gli scaffali gettando occhiate distratte a destra e sinistra. Il “primario” è quasi sempre al telefono, e un delegato interpreta i suoi gesti traducendoli allo store manager in qualcosa che non va.
Passata la tempesta, solitamente la regia del punto vendita si riunisce in ufficio per discutere di come sia andato l’esame. Noi torniamo alle operazioni di tutti i giorni, ricominciando a salutare i clienti e domandare i loro bisogni. Tutto rientra nella normalità, fino alla prossima visita.
E chissà, mi chiedo sempre, se il Grande Capo abbia capito che ciò che ha visto non è normale. Che gli scaffali non sono sempre così ordinati e puliti e l’esposizione della merce così enfatizzata. Semplicemente perché non c’è tempo per svolgere quei lavori nell’ordinarietà delle cose. E che se si vuole servire un cliente in più, per pochi che siamo, bisogna rinunciare al negozio perfetto.
O forse è andato via convinto che siamo quei tanti che bastano per una buona tenuta del punto vendita e delle vendite. E, come nella fiaba dell’imperatore di Andersen, penserà di avere indossato il migliore degli abiti. (il blog di Nathan - Vita da negozio)
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