L’intervento di un nostro collega la scorsa domenica (https://bit.ly/366VNCg) ha generato una serie di reazioni riguardo al ritmo di lavoro percepito. La frugalità, come amano definirla i nostri capi, è la capacità di fare le stesse (o più) cose con i (minori) mezzi che abbiamo a disposizione. Non credo di essere mai stato più frugale di questi giorni. Al collega che vedeva il cielo azzurro per la prima volta dopo 53 giorni, rispondo che il “cielo a volte invece ha qualche cosa di infernale”, come canta Battiato.
Personalmente sono tornato al lavoro più di un mese fa e sulle prime anche io ero molto ottimista. Ho sempre cercato di trattare su questo blog ,“Vita da negozio”, argomenti tra il serio e il faceto, ma sempre vedendo il bicchiere mezzo pieno. Adesso la cosa che più mi spaventa è che stiamo arrivando (di nuovo) al momento in cui ci ricorderanno che siamo fortunati ad avercelo ancora, un bicchiere.
Non sono un economista bensì un semplice commesso, tuttavia mi sembra di aver capito che la cassa integrazione dovrebbe servire a dare respiro alle finanze aziendali per recuperare (non tutto) il perduto di questo periodo. E per fare questo dobbiamo sviluppare ogni giorno, da qui ai prossimi mesi, più volumi dello scorso anno con una piccola parte delle risorse in campo. Stai tranquillo, caro collega, che non ci lasceranno servire un cliente alla volta, stanno già affilando i coltelli per nuove aggressive promozioni per riconquistare nel più breve tempo possibile il terreno perso. E noi siamo già con il fiato corto. Respirare il proprio alito dietro la mascherina ha la conseguenza che dopo un paio d’ore di ritmi serrati ti gira la testa e devi andare a prendere una boccata d’aria. I clienti, che prima entravano col contagocce, ora iniziano a spazientirsi rapidamente in coda, col risultato che vengono fatti entrare a gruppi.
L’ora di punta non è stata abolita: dopo le 17 c’è da correre per evitare di lasciare fuori qualcuno che potrebbe non prenderla proprio bene. Ognuno ha la propria “ipotesi di complotto” sul virus (e a noi tocca sentirle quasi tutte); mentre restano in attesa fuori dal negozio i clienti iniziano a sviluppare le loro teorie su cosa sta succedendo all’interno. Borbottano che siamo costantemente in pausa caffè o che ci stiamo perdendo in chiacchiere con il gruppetto di persone all’interno, quasi sicuramente nostri amici di vecchia data. Nel frattempo il telefono squilla incessantemente: spesso, all’altro capo del filo, c’è una grana da risolvere. Chi chiama, ha l’illusione di aver contattato uno dei tanti addetti di un call-center immenso, che ha tutto il tempo di dedicarsi alla risoluzione del problema, tradendo molto fastidio quando cerchi di tagliare corto. Senza scordare il cliente che entra, dopo un’ora di attesa, e ti fa fare il “tour guidato” del negozio per poi ringraziarti dell’attenzione e andare via, senza comprare nulla.
Clienti calmi? Forse all’inizio, quando si poteva uscire solo per i famosi comprovati motivi, con la paura di una multa. Ora si è tornati alla “normalità”: tutti di fretta e resi nevrotici dal fatto che l’unica prospettiva futura è lavorare, fare la spesa, andare a casa. Le nostre vendite sono fatte di consulenza, trattativa, dobbiamo gestire richieste, lamentele, pratiche di finanziamento, prodotti da rendere o da consegnare. Giocando a tutto campo tra casse, vendita e magazzino, si fa quel che si può. Se avanza qualche minuto, poi, c’è quel lineare mezzo vuoto che aspetta di essere rifornito da giorni. Sono già ricominciate le consegne della merce, adesso alcuni di noi si dovranno dedicare a metterla fuori, togliendo altre risorse alla vendita.
La coda fuori dal punto vendita è l’unica consolazione che mi resta. C’è, letteralmente, la fila fuori che aspetta. Sono poche le attività commerciali che possono permettersi questo lusso. C’è un’altra consolazione, in verità: poter stare a casa la domenica con la mia famiglia, stremato dalla fatica. Anche se penso che questo “privilegio” durerà ben poco.
Comunque, caro collega che hai scritto la lettera, apprezzo il tuo entusiasmo e la tua voglia di fare. Ti ringrazio per aver cercato di darci una carica di entusiasmo, come vedi ultimamente ne ho bisogno. Sono strani giorni. Forse il segreto è proprio quello di fare un passo alla volta: cerchiamo di prendere quel poco ossigeno che la mascherina fa passare, e non preoccupiamoci troppo per il futuro, perché non serve a molto, se non a preoccuparsi appunto. Un cliente dopo l’altro e anche oggi smaltiremo la coda. Domani (forse) vedrò il cielo un po’ più azzurro.
Se vi va, scrivetemi la vostra sensazione sul rientro dopo la quarantena, a nathan@biancoebruno.it.
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