Nonostante io cerchi sempre di essere empatico, ci sono dei comportamenti che mi innervosiscono e che non riuscirei a digerire nemmeno sotto l’effetto di ansiolitici. Non mi piace generalizzare, quindi non parlerò della “solita Italia dei furbetti”, ma mi riferirò a tre singoli casi in particolare, che ho vissuto personalmente.
Mi è successo di servire quell’insegnante furbetto che ogni anno spende i suoi 500 euro di Carta del Docente in un tablet (possibilmente quello con il simbolo della mela). Quando gli ho chiesto se avrebbe gradito abbinare una custodia, un antivirus o qualsiasi altro genere di servizio aggiuntivo, egli ha ammesso candidamente di non averne bisogno, dato che avrebbe rivenduto presto il prodotto su Internet. L’insegnante furbetto è lo stesso che, durante il lockdown e la DAD, si lamentava del fatto di avere un PC obsoleto e una linea lenta. Sa benissimo che quei 500 euro che gli vengono concessi per “aggiornamento professionale” non possono essere spesi per uno smartphone o un TV, ma ci prova sempre e comunque. Di fronte alla mia irreprensibilità, ha acquistato il solito tablet da 499 euro, rodendosi per quell’euro lasciato “di mancia” allo Stato. Per fortuna la stragrande maggioranza dei docenti sfrutta al meglio il bonus statale, che tra l’altro è cumulabile, per acquistare un PC dalle ottime prestazioni che possa seguirli nel loro importante compito per almeno due o tre anni. Peccato che basti un solo esempio negativo per gettare discredito sull’intera categoria.
Il secondo furbetto che mi si è parato dinnanzi è un cittadino che ha pagato con il reddito di cittadinanza l’ultimo modello di iPhone e un’asciugatrice tedesca da più di 1000 euro. Nonostante non ci sia nessun cavillo che impedisca una spesa del genere nella legge che riguarda il sostegno alle famiglie, le voci sullo scontrino stridevano con la lotta alla povertà. Dentro di me, ho cercato di darmi una spiegazione plausibile: magari si tratta di una famiglia che ha risparmiato ogni euro per esaudire un unico desiderio. Un po’ come nella “Fabbrica di cioccolato” quando Charlie trova il dollaro sepolto nella neve e, di comune accordo col nonno, decide di spenderlo per una tavoletta Wonka. La nonchalance con la quale questo birichino ha speso migliaia di euro lo ha tradito, non sembrava affatto una persona abituata a guardare gli spiccioli. Eppure non gli ho potuto dire nulla, pur sapendo che parte di quei soldi erano anche i miei, che non mi posso permettere ciò che lui stava acquistando. Ma se la mia fosse solo invidia?
Il terzo furbetto che mi è capitato è una novità assoluta: quello del green-pass. Questa volta il discorso non riguarda più il cliente, parlo di noi commessi. È quel collega che, non volendosi vaccinare, ha deciso di eseguire un tampone ogni 48 ore per poter avere la certificazione verde necessaria a lavorare. E fin qui scelta personale che nessuno mette in discussione. Il green-furbetto, però, si è già presentato un paio di domeniche col pass scaduto, perché ha avuto difficoltà a trovare una farmacia di turno aperta, e la stessa cosa gli è capitata anche durante un ponte festivo. C’è da sperare che, con l’avvicinarsi delle festività, le farmacie regalino test rapidi ad ogni ora, altrimenti il furbacchione potrebbe avere “molte difficoltà” a presentarsi al lavoro tra la vigilia di Natale e l’Epifania. Certo, per ogni mancata presenza egli non verrà retribuito, ma chi di noi non ha mai esclamato, soprattutto sotto le feste: “Oggi pagherei per starmene a casa”? Anche in questo caso, per la quasi totalità di dipendenti onesti che cercano di far rispettare un loro diritto a non vaccinarsi, ne esiste uno che rovina l’immagine di tutti.
Perdonatemi, cari miei cinque lettori, se mi sono permesso di utilizzare questa rubrica per questo piccolo sfogo personale, che di sicuro riguarda solo me, che ho avuto la sventura di imbattermi in queste persone, e nessun altro. È un vero peccato che, per ognuno di questi tre furbetti, sia l’intera comunità a pagarne le spese. Per fortuna, sono solo tre.
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