Domenica, 16 Gennaio 2022 10:51

“In negozio tra pandemia e roulette russa”

La voglia di tornare alla normalità può scontrarsi con le conseguenze della situazione straordinaria che stiamo ancora vivendo.

Gli ultimi giorni del 2021 e i primi del nuovo anno sono stati caratterizzati da misteriose assenze di colleghi. Ogni tanto qualcuno scompare, come nel romanzo di Agatha Christie “Dieci piccoli indiani”. Il giallo si infittisce per alcuni giorni, poi ci si abitua a questa assenza e si tira avanti. Alcuni dicono: “Ha avuto mal di schiena”; altri: “Ha uno strano raffreddore…”, affrettandosi subito ad aggiungere: “…ma non ha la febbre”.

La verità è che nessuno vuole farsi bloccare in casa dalla ASL per tre settimane, quindi si cerca di girare alla larga dalle farmacie che fanno tamponi rapidi anche se ci si sente un po’ acciaccati. Capita quindi che il collega con il quale hai parlato serenamente fino alla sera prima con la mascherina chirurgica abbassata, da un giorno all’altro venga a lavorare con una FFP2 nuova di pacca. Ben tirata sul naso. Quando lo guardi insospettito ti dice: “No, è che mi sento un po’ i brividi da ieri sera non vorrei mai attaccarti qualcosa”. Come se non ci fosse abbastanza “brivido” nel nostro mestiere ultimamente, tra clienti che parlano al telefono con la mascherina sotto il mento e quelli che mi chiedono un prodotto da portare ad un loro parente che è chiuso in casa perché è risultato positivo al Covid (e allora mi domando da quanto tempo non vedano questo consanguineo).

Forse anche questo è un indice del tanto atteso ritorno alla normalità. Gli esperti da tempo ci dicono che il virus sta diventando endemico e che l’unica cosa da fare è cercare una pacifica convivenza. Diciamo anche che, chi ha avuto la sfortuna di passare attraverso le fitte maglie burocratiche dell’isolamento imposto dall’ASL, non ci tiene a farlo una seconda volta. Quindi, da un lato, è comprensibile non correre a “tamponarsi” ogni volta che ci cola il naso.

D’altro canto, tuttavia, venire a lavorare con sintomi influenzali mette a rischio la propria salute e quella dei colleghi. Per quanto mi riguarda, è dai tempi della “banale” H1N1 che sono piuttosto angosciato ogni volta che si avvicina il periodo invernale. Figuriamoci con il Covid. Diciamo poi che, essendo il nostro lavoro a stretto contatto con il pubblico, non ho mai trovato gradevole presentarmi in negozio con la tosse, il naso che cola e gli occhi rossi. Di questi tempi sarebbe carino avere più rispetto per gli altri, a meno che molti di noi non lo facciano come sorta di ripicca nei confronti di quei clienti che – nel periodo natalizio – si sono comportati in maniera assolutamente irriguardosa: famiglie intere che ti assediavano non lasciandoti nemmeno lo spazio per respirare; code indiscriminate alle casse dove la distanza tra uno e l’altro era tale da non vedere il pavimento; gente che entrava e – abbassandosi la mascherina – starnutiva come se nulla fosse.

Mi auguro che molti colleghi non intendano vendicarsi di questo genere di trattamento rispondendo a tono, perché altrimenti non ne usciamo più. Per quanto mi riguarda, ho un metodo abbastanza rodato che ho sviluppato negli anni, che si è dimostrato efficace nella sua semplicità: se sto male, sto a casa. Non ho mai capito se questo mio modo di ragionare sia dettato più dall’egoismo o dall’altruismo. Si basa, piuttosto, sul fatto che ascoltare i segnali del proprio corpo aiuta a capire quando è il momento di non tirare troppo la corda. Se mi viene la febbre, cerco di aiutare il mio sistema immunitario concedendomi un po’ di tregua. Non sono uno di quelli che si mette in mutua per un’unghia incarnita, ma non sopporto lavorare con la febbre e i dolori alle ossa. Di sicuro non corro a farmi un tampone non appena ho un colpo di tosse, ma non vedo perché dovrei mettere a rischio gli altri se starnutisco come un lama, o peggiorare la mia salute facendo il supereroe. Un dato di fatto - che non si valuta mai quando si compiono questi atti di “eroismo” - è che se contagiamo altre persone potremmo arrivare al punto in cui ci ammaliamo tutti.

Nel mio negozio tra Natale e Capodanno eravamo rimasti veramente in pochi sopravvissuti. Direi di non giocare alla roulette russa ancora per molto. L’altro titolo con cui era conosciuto il romanzo della Christie era “E non ne rimase nessuno”. Chi aprirebbe il negozio? (Nathan, addetto vendita da oltre vent'anni)

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