Mercoledì, 09 Novembre 2022 22:19

“Sognavo di fare la portinaia”

Come si diventa addetto vendite? E perché? Le vie del negozio sono infinite.

L’altro giorno mi è capitato di leggere un articolo secondo il quale il “talento” non esisterebbe. Dimentichiamoci il mito della genialità, fenomeni non si nasce, tutti possiamo eccellere con il duro allenamento. Vero - dico io - ma non possiamo escludere che ci sia un’attitudine innata dentro ognuno di noi. Io, ad esempio, non sarei potuto diventare medico chirurgo nemmeno con anni di duro praticantato, perché alla sola vista del sangue svengo. Mi sono trovato quindi a riflettere sul perché sto facendo il commesso da 25 annI. Ci sono capitato per caso? O per indole? Un po’ entrambi, credo.

Poche ambizioni
Da piccolo non ho mai avuto grosse ambizioni, mentre tutti i miei compagni volevano diventare calciatori o astronauti o musicisti, io mi immedesimavo nei lavori più umili e defilati. Forse per la mia grande timidezza non sognavo di cantare davanti a milioni di spettatori, piuttosto avrei preferito essere un membro dello staff di sicurezza del concerto. Non inseguivo affatto ruoli prestigiosi coperti da un’aura di potere, anche perché non facevano parte del mio quotidiano: in famiglia non conoscevamo nessuno che si potesse dire realmente realizzato grazie al proprio talento. I miei unici contatti con il mondo del lavoro erano i commessi del supermercato dove andavamo a fare la spesa. Queste persone erano capace di cambiare l’umore di mia madre in meglio o in peggio, a seconda se “beccavamo quello gentile” o quello scorbutico. Ed è lì, forse, che ho percepito il potere intrinseco dell’addetto vendita. Per dirla come una famosa battuta di Aldo, Giovanni e Giacomo: “Io voglio fare la portinaia, un mestiere molto sottovalutato con un’importanza sociale che non puoi nemmeno immaginare”.

Mestiere semplice
Un po’ mi ci sono ritrovato in questo ruolo. Ho iniziato a fare l’addetto vendita in un negozio di noleggio VHS sotto casa, che a raccontarlo adesso sembra la preistoria, per mantenermi gli studi. Lì ho scoperto che non solo era molto divertente, ma quel mestiere aiutava a superare la mia atavica timidezza e la mia insicurezza cronica. Con il trascorrere degli anni ho cambiato tre aziende, ma sono rimasto sempre un “umile” commesso perché, tutto sommato, è un mestiere semplice. Vedevo i colleghi universitari che faticavano a trovare il lavoro per cui eravamo stati formati, mentre io continuavo a divertirmi lavorando. Mi capitava di vedere i compagni del liceo frustrati perché erano rimasti incastrati in un ruolo di grande responsabilità, quando il “fanciullino” dentro di loro avrebbe voluto continuare a giocare a pallone in cortile. Io, invece, ero arrivato già alla conclusione che crescere professionalmente non faceva per me: perché mi avrebbe allontanato dalla vendita, dai miei clienti, dal pubblico che mi regalava quotidianamente soddisfazioni. Come dice Kevin Spacey ad un certo punto in American Beauty: “Voglio il lavoro con il minor carico di responsabilità possibile”. Lui finisce alla cassa di un fast food dopo aver scoperto che il sogno americano è una grossa bugia, mentre io lo avevo intuito fin da ragazzo.

Mi è andata bene
Oggi mi considero fortunato, perché adoro il mio mestiere. Ho seguito il mio istinto e mi è andata bene. Certo, ci sono periodi difficili ed ogni giorno qualcuno o qualcosa cerca di farmi cambiare idea, ma nonostante tutti i tentativi del mondo per farmelo odiare, amo il mio lavoro. Il mio “talento”, se si può chiamare così, è semplicemente quello di fare in modo che la mia giornata possa solo migliorare con il rapporto col pubblico. Una battuta, un sorriso, una stretta di mano possono cambiare l’umore di molte persone, compreso quello del sottoscritto. Se avessi coltivato questa capacità per tempo, forse oggi lavorerei nel sociale. Perché dopotutto siamo un po’ psicologi, educatori e assistenti sociali. Siamo molto di più che semplici commessi, e lo scopriamo ogni giorno che passa. (nathan)

Ora mi piacerebbe sentire anche la tua, come ti sei trovato a fare questo mestiere? È stata una scelta voluta o obbligata? Raccontatemelo scrivendo a nathan@biancoebruno.it 

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