L’uscita forzata dalla comfort zone è il cavallo di battaglia della nostra generazione lavorativa. Il posto fisso apparteneva ai nostri padri, a noi rimane la flessibilità, la trasversalità e tanta voglia di cambiamento per affrontare le sfide del mondo del lavoro. Tuttavia, superata la quota degli “anta”, si incontrano più porte chiuse (spesso in faccia) che portoni aperti, quindi ci si riduce a tenersi stretto il proprio posto fisso tenendo le due mani ben salde sul volante, cercando di evitare brusche sterzate. Ti vieni a trovare quindi nella terra di mezzo, tra chi ti dice che sei troppo vecchio per cambiare e chi (di solito un manager trentenne) ti impone un cambiamento che non desideravi perché “fa bene uscire ogni tanto dalla propria comfort zone”. E tu pensi: “Di nuovo?”. Che sia un semplice cambio di reparto, o il trasferimento in un altro punto vendita, se hai parecchi “Natali” sulle spalle ti assicuro che non la prenderai bene. Cambiare aria può essere qualcosa di positivo – certo - può dare nuovo slancio e rinnovato vigore alle cose di tutti i giorni, ma superata la prima fase dell’entusiasmo, che di solito dura qualche settimana, alla fine ognuno di noi va a cercarsi il proprio angolo di certezze, la coperta di Linus lavorativa che ti fa sentire al sicuro: quello spazio familiare, conquistato negli anni, che ti fa sentire a casa anche se sei in negozio. E ognuno di noi ne ha il sacrosanto diritto, perché – ammettiamolo - chi vuole vivere sul “chi va là” tutti i giorni della propria vita? Anche Indiana Jones svolgeva il noioso compito di docente universitario, tra un’avventura e l’altra. Dopotutto, non è forse vero che trascorriamo più della metà della nostra giornata sul posto di lavoro? E non ci hanno fatto una testa così da quando siamo stati assunti che la nostra è una “grande famiglia”?
Il manager trentenne
E invece no, non appena qualcuno si sveglia con un’idea nuova ecco arrivare un nuovo cambiamento. E di solito il manager trentenne è un fiume di idee nuove, soprattutto quando le cose non vanno come dovrebbero, e cioè meravigliosamente bene da quando è stato messo a capo di quel dipartimento, per dimostrare agli altri che vale molto più di chi lo ha preceduto. Ma tu, di cambi, non ne puoi davvero più. C’è stata una pandemia, c’è tuttora una guerra che minaccia un’escalation nucleare, Babbo Natale ti porterà la bolletta più salata di sempre e – cosa peggiore di tutte – ti accorgi di stare invecchiando. E’ il momento in cui i figli crescono e le mamme imbiancano, hai un bisogno disperato di quotidianità, di routine, persino di noia. Non di nuovi colleghi, nuove esperienze e un nuovo percorso per arrivare a lavorare. Secondo me, giunti ad una certa età, noi addetti vendita “maturi” dovremmo poter scegliere come trascorrere gli ultimi anni della nostra carriera. Vuoi continuare a cambiare perché non ti piace fare sempre le stesse cose? Liberissimo. Vuoi un periodo di distacco dalla fiumana di gente che incontri durante l’anno? Ti faccio fare un’esperienza in magazzino, nel back-office, o come formatore di nuovi addetti vendita. C’è poi chi, raggiunto un certo grado di responsabilità, magari si rende conto di non avere più il carisma per trainare le masse verso gli obiettivi aziendali o le forze per trascorrere tutte quelle ore in punto vendita a gestire e organizzare una squadra. Sarebbe giusto, a quel punto, proporre una decrescita (più o meno felice) per consentire a queste persone di riprendersi la propria vita, anziché continuare a frustare un cavallo morto.
Cambiamento orizzontale
Il nostro non è un mestiere per vecchi, ma anche noi cinquantenni abbiamo diritto ad un futuro in azienda, che non deve essere per forza una crescita verticale, ma neppure un cambiamento in orizzontale. A volte basta lasciarci quelle piccole soddisfazioni della vita lavorativa che abbiamo saputo ritagliarci negli anni: a me piace servire i clienti, lasciami fare quello. Al mio collega piace coordinare quel determinato gruppo di lavoro? Faglielo fare. Ormai abbiamo sviluppato le nostre attitudini, le nostre soft-skills come dicono quelli bravi, sarà veramente difficile trasformare un mulo da soma in un puledro da corsa. Attenzione, però, qui non si tratta di aver perso la voglia di lavorare; anzi, io di quella ne avrei da vendere. Io stesso non sopporto i colleghi che si mettono in mutua un giorno sì e uno no, pensando di tirare fino alla pensione con il ritmo di un dipendente comunale svogliato. E’ solo che lavorare nel commercio ultimamente è diventato come lavorare in un parco di divertimenti: continue promozioni da preparare e da proporre, bisogna essere sempre efficienti, allegri e “sul pezzo”, i clienti vanno coccolati, ma bisogna anche concludere delle buone vendite. Ormai il nostro non è un mestiere come un altro, è una missione! Ma nel frattempo il tempo passa, e di missione in missione mi sento di aver perso un bel po’ delle mie energie. E non le recupererò di certo andando in un altro negozio.
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