Nei giorni scorsi Whirlpool ha tenuto in Sicilia la sua tradizionale convention annuale rivolta ai clienti rivenditori. Al di là dei prodotti nuovi, a partire dagli apparecchi per la conservazione dei cibi, che per la verità rappresentano una dote di estrema importanza per il futuro del gruppo, un aspetto ci ha colpito più di tutti gli altri: l'estrema determinazione dei vertici commerciali, con l'amministratore delegato Lorenzo Paolini (foto) in testa, nel rimarcare quanto la differenze tra i vari marchi in portafoglio, dopo l'acquisizione di Indesit Company, rappresentino il vero patrimonio dell'azienda. Da Whirlpool a Indesit, passando per Hotpoint, Ignis, Scholtes e KitchenAid, ciascuno di essi si rivolge a profili ben precisi e distinti di consumatori, a conferma di come le differenze tra chi acquista esistano, permangano e in qualche misura siano destinate ad aumentare. E allora, più che la domanda, è la riflessione a sorgere spontanea. La distinzione di marchio, che in fondo è anche distinzione di manager, con storie, sensibilità, approcci al mercato diversi, è la principale sfida dell'azienda. Se riuscirà a salvaguardarla e a trasmetterla ai rivenditori, ne trarrà non pochi benefici. Magari anche a favore dell'occupazione in Italia. E ne trarranno beneficio gli stessi rivenditori. Ma il nodo è proprio qui. Un trade che ha di fronte a sé il nemico di sempre, oggi forse più potente di ieri: l'omologazione delle insegne, dei loro messaggi ai consumatori, del loro modo di stare sul mercato. La strategia di Whirlpool, se fondata su convinzioni concrete (e, ribadiamo, la nostra sensazione è che esse lo siano) è l'ennesima dimostrazione che l'analisi degli stili di vita, profondamente rivoluzionati negli ultimi anni, porta inevitabilmente le insegne distributive (o dovrebbe portarle) a interrogarsi su quale ruolo rivestire nel mercato. E le conduce prima a prendere atto che le esigenze dei consumatori sono tantissime e diverse, e in secondo luogo auspicabilmente a dotarsi di altri e diversi linguaggi verso i clienti finali. Insomma, se le industrie si sforzano di dimostrare che di consumatori ce ne sono tanti e tutti con le loro aspettative, sempre più personalizzate, questa stessa operazione dovrà essere abbracciata prima o poi anche dalle insegne nazionali. Il solo linguaggio promozionale non può più bastare. Anzi, non basta più.