Mercoledì, 17 Febbraio 2021 09:56

Il marketing? Sarà in mano ai micro-influencer

Non sono personaggi noti bensì gente comune, che però comunica meglio e risulta più credibile.

Oggi per migliorare la brand awarness bisogna riuscire a coinvolgere i potenziali acquirenti. Il modo più veloce per farlo è sicuramente il web con i suoi social network. E’ un dato di fatto però che le aziende, anche di grosse dimensioni, spesso faticano a emergere su questi nuovi canali di comunicazione.

Anni fa era obbligatorio per un marchio che volesse lanciarsi sul mercato investire in campagne pubblicitarie, spesso molto costose. In tempi più recenti abbiamo visto associare alle campagne classiche anche le promozioni ad opera di grandi influencer che dai loro profili consigliano questo o quel prodotto specifico. Chiara Ferragni, Salvatore Aranzulla, Andrea Galeazzi sono solo alcuni tra i più famosi. Il canale social oggi è fondamentale, ma qui la partita è ben diversa. Su questo mezzo di comunicazione il messaggio non è monodirezionale come negli spot televisivi, nei cartelloni o nei messaggi in radio. Non basta incantare il consumatore, bisogna coinvolgerlo. I contenuti postati generano una risposta nell’utente che può commentare e condividere. In pratica si crea un dialogo facilmente traducibile in termini quantitativi e qualitativi.

E’ uno dei canali dove la portata dell’investimento non è sempre proporzionale al guadagno in termini di immagine. Spendere tanto coinvolgendo questo o quell’altro personaggio famoso non è per forza una garanzia di successo. Investire solo sul cosiddetto vip non assicura la riuscita. La strategia da attuare è molto più complessa. Come abbiamo detto, l’obbiettivo è coinvolgere i consumatori. Ma come fare?

Puntare sui micro-influencer può essere una soluzione. Si tratta di tantissimi utenti che condividono post, meglio ancora video, sulle varie piattaforme social elencando i punti di forza di un determinato prodotto in cambio di un piccolo compenso. Questi creatori di contenuti hanno spesso la capacità di coltivare relazioni più efficaci con la propria rete di contatti. La loro opinione viene percepita come più autentica rispetto a quella di vip o personaggi dello spettacolo.

A questo scopo sono nate tante piattaforme pronte ad aiutare le aziende a emergere sui canali social.

E’ il caso di Buzzoole (Basùl) nata in quella che qualcuno ha definito la città più creativa d’Italia, Napoli, che sfruttando una tecnologia basata su un software proprietario di intelligenza artificiale chiamato GAIIA (Growing Artificial Intelligence for Influencer Affinity) elabora attraverso algoritmi i vari social analytics associando il miglior micro-influencer al brand. E giganti del calibro di Nestlè sono oggi loro clienti.

Stessa cosa più o meno fa Worldz, una startup italiana nata nel 2016 e che oggi ha un giro d’affari di circa 3,5 milioni di euro. Il giovane fondatore, Joshua Priore, è convinto che l’ecommerce cederà presto il passo al social commerce e che gli acquisti online passeranno sempre di più attraverso i social network.

Sappiamo che la comunicazione nei social è immediata e se nella vita di tutti i giorni siamo bombardati da stimoli, online questa cosa è amplificata. La platea è estremamente distratta e riuscire a catturarne l’attenzione è un lavoro molto difficile. E’ cosa nota infatti che molti utenti si limitano a leggere i titoli e non leggono interi post o articoli, e la stragrande maggioranza degli utenti preferisce la comunicazione tramite video. Non a caso TIK TOK, il nuovo social cinese tanto discusso, sta prendendo sempre più piede nel mondo.

Il futuro del marketing sui social media e della comunicazione in generale sono i video.

Filmati brevi, simpatici e coinvolgenti che esaltano il brand postati da micro-influencer possono attirare un numero notevole di persone creando interazione con i consumatori. Attraverso questo strumento si riesce a presentare prodotti e servizi specifici alla massa molto meglio di quanto non si riesca in altri modi.

Con i videoclip si combinano immagini, parole e musica emozionando l’utente finale. Lo hanno intuito tre studenti siciliani dello IULM di Milano. Questi ragazzi hanno creato una piattaforma, Vidoser, che permette agli iscritti di diventare testimonial dei brand semplicemente pubblicando video brevi sui social network seguendo le indicazioni date e assicurando “coin” convertibili in buoni d’acquisto.

Ma il mondo si evolve in fretta così come le strategie di marketing. Per questo motivo, da un po’ di tempo a questa parte, ai classici influencer si sono affiancati i cyber-influencer. Questi testimonial virtuali non sono altro che dei personaggi creati dal computer con propri profili social. Sembra fantascienza eppure è reale e funziona. Sono avatar sviluppati da società specializzate in intelligenza artificiale e seguiti da una moltitudine di persone. I loro post generano partecipazione attiva e continua nella comunicazione. Creano quell’engagement tanto ricercato dai brand.

Proprio per questo alcuni di questi avatar hanno collaborato con diverse società. E’ il caso della modella virtuale Miquela Sousa, su Instagram sotto il nome di Lilmiquela, che ha 2,9 milioni di followers. Samsung, Prada, Chanel, Calvin Klein sono solo alcune tra le aziende che hanno deciso di utilizzarla per campagne pubblicitarie. E perfino campagne social come #blacklivesmatter l’hanno vista come testimonial.

Ma questi influenzatori immaginari per quanto affascinanti e poco costosi in confronto a quelli reali hanno un grosso limite: il fattore umano. Un personaggio virtuale anche ben caratterizzato e in grado di interagire con i followers non potrà mai provare emozioni e ciò viene percepito dalle persone. Le quali non potranno mai porre una reale fiducia verso i suoi consigli di acquisto: anche la persona più ingenua e sognatrice riesce facilmente a coglierne l’esclusivo scopo commerciale. Il consiglio d’acquisto di un avatar sarà sempre preso con le pinze da qualsiasi consumatore e lo sanno bene gli addetti ai lavori.

Il retail dovrebbe impegnarsi a sviluppare un nuovo modo di fare commercio per i clienti attuali ma soprattutto per quelli futuri. Sì perché, contrariamente a quello che si pensa, il 67% della generazione Z (i nati dal 1996 al 2010) predilige i negozi fisici per gli acquisti. Attenzione, però! Questi clienti iperconnessi, nati nell’epoca di Internet e degli smartphone, entrano in negozio con le idee già ben chiare su quello che vogliono acquistare. Si informano sui vari canali e tengono in gran considerazione le opinioni degli amici (o dei micro-influencer) piuttosto che quelle che provengono dai big della comunicazione.

Per attrarre questa nuova generazione di consumatori bisogna agire quindi su più fronti: la comunicazione attraverso i social nella maniera prima descritta e lo shopping esperienziale. I ragazzi della GEN-Z che arrivano in negozio devono essere coinvolti in un’esperienza di acquisto che li coinvolga dal punto di vista emotivo. Quando entrano in uno store per acquistare il prodotto sul quale si erano informati, lo spazio espositivo deve riuscire a catturarne i sensi ed affascinarli così da rendere più facile il cross selling ma anche l’ up selling. Se è vero che questi post-millennials quando vogliono comprare un prodotto hanno già le idee chiare, è dimostrato da diversi studi che sono ben propensi a cambiare brand se percepiscono un maggior valore di un altro prodotto.

In buona sostanza se ieri era importante, oggi è essenziale per chi si occupa di marketing e chi opera nel settore del commercio al dettaglio, studiare le tendenze ed avere una attenzione maniacale verso le motivazioni, i bisogni e i comportamenti dei consumatori.

 

Luca Grimaldi