Lo sappiamo: il rischio di far alzare il sopracciglio a furia di pubblicare lettere “anonime” è alto. O meglio, tecnicamente non si tratta di lettere anonime perché prima di pubblicarle verifichiamo sempre l’identità di chi ce le invia. E non possiamo riportare il vero nome dell'autore per motivi che si possono intuire. Tuttavia fino a quando riceveremo analisi lucide e intelligenti come quella che trovate sotto continueremo a pubblicarle. Fregandocene dei sopraccigli. Certo, il loro numero aumenta di mese in mese. Ma ne vorremmo avere di questi Perché esse arricchiscono il nostro lavoro e perché abbiamo la presunzione che vadano a toccare i tasti giusti dell’interesse di una larga fetta di nostri lettori. Pertanto, buona lettura. (g.g.)
Ciao Bianco&Bruno
sono anch’io uno dei lavoratori con “la maglia rossa”, lavoro nella GDO da circa 10 anni e le varie insegne le ho girate praticamente tutte (persino Fnac, per chi se la ricorda). Mi piacerebbe molto parlare con voi di un argomento sottovalutato ma sempre attuale, ovvero quella che a me piace definire l’ergonomia dei negozi, o in termini più pratici, quanto i punti vendita siano “vivibili” o meno. Nonostante tutti gli stravolgimenti vissuti dal settore negli ultimi anni, l'interesse verso questo aspetto non mi sembra procedere di pari passo con la dinamicità che lo caratterizza, anzi direi che per certi versi sta involvendo, o comunque non evolvendo. Insomma, per dirla in parole povere i negozi rimangono luoghi caotici per clienti e lavoratori tutti, spesso uniti dai due volti dello stesso problema.
Per esempio: le scorte di alcuni prodotti vengono custodite sotto chiave in armadi di metallo. Queste chiavi sono custodite a loro volta in altri armadietti le cui chiavi sono in possesso del responsabile o magazziniere di turno, che bisogna letteralmente inseguire per il negozio, il tutto mentre il cliente attende l'arrivo del suo prodotto. I sistemi antitaccheggio, poi, sono almeno 4 o 5 e ciascuno con la relativa sicurezza o telecomando (manco a dirlo, sotto chiave), per cui spesso prima di riuscire a spegnerli o sbloccarli ci vuole tempo; i cartelli-prezzo hanno formati e supporti diversi (cornice, portaprezzo, supporto del portaprezzo), tanto che il prodotto spesso è la cosa meno visibile, sepolto com'è da cartelli, accessori, volantini, totem e brochure dei vari fornitori! E inoltre bisogna sempre inventarsi il posto dove riporre tutto questo materiale, che nel 99% dei casi finisce nelle postazioni di lavoro, che sono minuscole e già stipate a più non posso.
Potrebbero sembrare problemi solo di MediaWorld, ma i miei ex-colleghi della “concorrenza” (alcuni dei quali in tutto questo tempo sono diventati grandissimi amici) con cui sono sempre in contatto, mi hanno dato la conferma che invece sono una realtà generalizzata. Purtroppo al di là delle oggettive evoluzioni tecnologiche, vedo che alcune cose da 10 anni a questa parte non sono cambiate affatto: l'illuminazione accecante, Tv e Hifi che vanno tenuti a palla (“Così si vende di più”), sistemi che si bloccano (aggiornati con cronica lentezza perché dal 2010 a questa parte i fatturati si dice siano sempre in rosso), lineari che hanno fatto la guerra... capirete che è ben difficile avere dei punti vendita con l'appeal di un Apple store quando il materiale e le tecniche espositive sono le stesse identiche di 10 o anche 15 anni prima.
Tutto ciò, in un contesto fisico, dove la comunicazione venditore – cliente è la chiave, è un fattore di vendita importante che dunque risulta almeno in parte compromesso. E il cliente, volente o nolente, lo avverte. Per fortuna nel corso degli anni qualche piccolo miglioramento è stato attuato, ma sempre come concessioni dall'alto, quando in realtà molte di queste richieste erano già state fatte dagli addetti vendita anni addietro. Il retail insomma non investe su se stesso, ad eccezione di offerte e promozioni; non dirò nulla a voi di nuovo, ma l'omologazione è sempre più accentuata: cosa ci attende dopo la ricorrenza del decennale/ventennale/cinquantenario, le offerte lampo (ogni giorno, ogni ora, ogni...minuto?) e il prossimo Black Friday (che avrà l'obbligo quantomeno di decuplicare i fatturati)? Non c'è da stupirsi se questa continua rincorsa alle offerte finisce per ingrossare le fila di un solo tipo di clientela, quella mercenaria, disinteressata, frettolosa (e spesso anche poco propensa all'educazione e al controllo dei propri pargoli/cani, ma questa è un'altra storia).
L'altra faccia della medaglia è un prodotto svuotato, completamente squalificato, acquistato più per convenienza che per necessità. Si punta ai servizi, ma senza formazione né personale; si parla di specializzazione, ma poi se tutti fanno tutto è meglio; si desidera fidelizzare con una raffica di promozioni, identiche ovunque (piccola nota: durante il celebre “Venerdì Nero” sul sito di Apple le parole Black Friday non sono comparse neanche per sbaglio, solo un modesto buono spesa). Date queste premesse, quali sono le intenzioni del retail? Oltre a voler incamerare apparentemente maggior liquidità nel minor tempo possibile, beninteso.
So che ho saltato di palo in frasca, ma se ho divagato così tanto è stato solo perché mi era impossibile trattare alcuni punti senza andare a muoverne altri, e di questo mi scuso. Concludo semplicemente aggiungendo che la strada per la fidelizzazione vera è sotto gli occhi di tutti, ed è questa: “Mi hai consigliato bene”, “Finalmente qualcuno che mi ha spiegato in modo chiaro!”, “Grazie, sei stato onesto”.
Lettera firmata