Sabato, 20 Ottobre 2018 08:46

“I 5 errori che noi addetti non dovremmo mai commettere”

L’esperienza di chi fa questo mestiere da oltre due decenni e ne ha viste di tutti i colori.

Tra mystery shopper e segnalazioni dai lettori, ci è capitato spesso di affrontare il complesso rapporto cliente-addetto, e di segnalare alle aziende quanto proficuo potrebbe essere investire maggiormente in formazione. Oggi vorremmo dare alcuni consigli non richiesti, ma peraltro gratuiti, a chi ogni giorno svolge il difficile compito di relazionarsi col pubblico. Ci preme segnalare alcuni errori, se ci permettete il gioco di parole, commessi dai commessi. Potrebbe essere l’inizio di una sorta di ‘corso di formazione on-line’ per addetti vendita, anche se non ci potremo certo sostituire ad un ben più utile confronto in aula. Pretendere di imparare a gestire il cliente leggendo quattro righe è come addestrarsi alla difesa personale guardando un tutorial su Youtube.


Perché non si pensi che la persona che ha redatto questi suggerimenti sia il classico ‘colletto bianco’ che non ha mai spostato un bancale di sabato pomeriggio in negozio facendo gimcana tra i visitatori, chiariamo subito che è un commesso con 25 anni di anzianità.

Ecco i 5 comportamenti errati che, secondo lui e cioè io, sono i più diffusi:

Pretendere che si ricambi il saluto. Siamo (saremmo) tenuti a salutare tutti i visitatori che incrociano il nostro sguardo, ma molti di loro non lo fanno. Perché? Ho lavorato con molti colleghi che, non corrisposti, continuavano a ripetere “Buongiorno!” fin quando non venivano a loro volta salutati, in modo forzatissimo ovviamente. Bacchettare il cliente facendogli notare la sua maleducazione non è la maniera migliore per iniziare una trattativa. Se consideriamo di vitale importanza, quasi una questione di principio, essere corrisposti nel saluto, allora dobbiamo valutare seriamente di cambiare mestiere. Nessuno ci saluta perché noi non esistiamo per la maggior parte dei visitatori, per lo meno non nei primi istanti. Distratti dalla frenesia e dal disorientamento tipico di chi si trova per la prima volta in un luogo, non veniamo considerati fino a quando i clienti non hanno realmente bisogno di noi. Iniziamo a prendere forma solo dopo che si instaura un rapporto. Dopo alcuni minuti la stessa persona che prima non ci aveva nemmeno considerato come esseri umani inizierà a chiamarci per nome, se saremo bravi ad interagire. Personalmente trovo che sia utopico salutare con un entusiastico “Buongiorno!” - alla Truman Show - tutti quelli che entrano in un negozio, ma con gli anni ho imparato a fare un cenno del capo, uno sguardo, un sorriso, che vengono spesso interpretati come un saluto. Tant’è che molte volte sono i clienti stessi a salutare (verbalmente) per primi, con buona pace delle questioni di principio di cui parlavo.

Non guardare negli occhi il cliente. Per quanto siamo indaffarati, nonostante tutte le cose da fare, è da maleducati non guardare negli occhi le persone. Punto. E’ una semplice questione di educazione. Tramite lo sguardo si mette a proprio agio chi abbiamo davanti, dandogli la sensazione di avere la nostra completa attenzione. E pazienza se la domanda è la solita: “Dove trovo le chiavette uessebì?”, rispondere ricambiando lo sguardo e salutare con un sorriso metterà di buonumore anche noi. Per le trattative più complesse, invece, tenere lo sguardo fisso negli occhi della persona interessata aiuta a conquistare la sua fiducia, e potrebbe portare a conclusioni diverse rispetto ad un approccio più freddo e distaccato. Come quando si guarda il prodotto, anziché la persona che abbiamo di fronte. Il prodotto noi lo conosciamo, lo abbiamo già visto, lasciamo che sia lui a vederlo per la prima volta. Nel frattempo osserviamo le sue reazioni. Si dimostra interessato? Annoiato? Schifato? Prendiamone nota e interagiamo di conseguenza.

Fare troppe domande, o troppo poche. La risposta è dentro di noi, così vale anche per il prodotto che ogni visitatore sta cercando. Il trucco per scoprire brevemente di quale articolo si tratta è fare alcune domande. Non più di tre. Meno potrebbero dimostrare disinteresse da parte nostra, e non ci permetterebbero di scoprire le reali esigenze del cliente. Farne di più farebbe sentire il nostro interlocutore ad un terzo grado da commissariato di polizia. Le domande devono essere il più possibile finalizzate a comprendere i bisogni, e non ad assimilarli ai prodotti che abbiamo a disposizione. Se un cliente cerca un televisore avrà sicuramente in mente la grandezza, anche se non tutti prendono le misure, ma non conoscerà la corrispondenza in pollici. Chiedere se desidera un 55” o un 49” lo metterebbe solo in confusione. Così come un ‘bel TV’ non significa per forza OLED. Un ‘buon audio’ non presuppone un impianto da 400W. Tutto sta nel farci raccontare cosa sia per lui ‘bello’ e ‘buono’. Ognuno ha la propria tecnica, ma quello che mi ha portato più risultati nel tempo è stato domandare: “Quale prodotto deve sostituire? Cosa le piace del prodotto che ha adesso? Cosa vorrebbe in più?”. Possibilmente non tutte e tre di seguito, senza nemmeno prendere fiato. Meglio scandirle in maniera naturale durante il discorso, facendo parlare il più possibile l’interlocutore. Nel frattempo nella nostra mente, come nel gioco ‘Indovina Chi’, ci formeremo l’identikit del prodotto da proporre. Sembra difficile, ma con la pratica verrà naturale.

Chiedere il budget a disposizione. E’ la cosa più sbagliata da fare. So che molto spesso si commette questo errore per tagliare corto, per giungere al punto. In altri casi è lo stesso consumatore a dirci che desidera un prodotto “buono, ma che costi poco”. Il problema è che noi non possiamo sapere cosa rappresenti per lui quel “poco”. Alcuni considerano folle chi spende 1000 euro per un telefonino, ma spenderebbero volentieri la stessa cifra per un televisore. Se possibile, non parliamo mai di soldi, ma di caratteristiche. Perché il cliente, una volta fissato il budget, non si smuoverà da quella cifra nemmeno con un crick. Hai voglia poi a fare cross-selling, up-selling, deriva di vendita. Diventerà un bambino capriccioso al quale è stato promesso il giochino all’uscita da scuola. Il consumatore, spesso, non ha idea di quanto costi il prodotto che realmente desidera. Quello che soddisferà a pieno i suoi bisogni. Saremo noi a doverglielo presentare. E se il prodotto che desidera costerà troppo per le sue tasche, allora gli si proporrà un pagamento rateale. O si scenderà, pian pianino, di dieci euro alla volta, fino a giungere ad un prodotto del quale si accontenterà. Ma state certi che molte persone, a questo punto, saranno più felici di spendere qualcosa in più per realizzare il proprio sogno. Perché il primo prodotto che avremo presentato, se abbiamo fatto bene il nostro lavoro, sarà quello che sogneranno quella notte.

Non divertirsi. Siamo sinceri, nessuno ha iniziato a fare questo lavoro perché sognava di farlo. Da bambini desideravamo di fare l’astronauta, il poliziotto, il maestro, il dottore, il pompiere. Non ho mai sentito nessuno dire: “Da grande farò il commesso!”. Eppure, se siamo ancora qui, qualcosa di questo lavoro ci piace. O semplicemente non troviamo altro. Questo non è mica tabù. Ma che sia il lavoro della nostra vita, o quello che dobbiamo fare per vivere, il risultato non cambia: dovremo farlo giorno dopo giorno per molto tempo. E allora perché non prenderla un po’ sul ridere? Sdrammatizzare una trattativa con una battuta non è un reato. Strappare un sorriso ad un cliente, o un collega, può aiutare a rendere più allegri anche noi. Non siamo attori comici o animatori da villaggio, ma affrontare la giornata con allegria non può che fare bene, innanzitutto a noi stessi. Ognuno ha il proprio zaino di problemi, chi più pesante, chi più leggero, l’importante è lasciarlo fuori dalla porta del negozio. È una tecnica per dimenticarseli quei problemi, anche solo per le ore del nostro turno. E quando li ritroverete all’uscita, vi accorgerete che – forse – lo zaino sarà più leggero di quando siete entrati.

Giovane Marmotta