Esistono professioni che per loro stessa natura sono obiettivamente più rischiose di altre, basti pensare a chi svolge la manutenzione di piattaforme petrolifere, centrali elettriche o nucleari, o a chi deve stare a contatto con sostanze tossiche o instabili; tutti compiti altamente pericolosi, in cui l’incolumità fisica del personale seppur con gradi diversi è messa seriamente a rischio, dunque in grado di suscitare oltre al rispetto dovuto a tutti i mestieri svolti con professionalità e competenza, anche una certa ammirazione. In questo senso allora non è azzardato ipotizzare che un’affermazione come “anche lavorare nella Grande Distribuzione è pericoloso” potrebbe dare luogo a risate isteriche, oltre a sollevare parecchie sopracciglia. E’ chiaro che qui non si sta parlando in senso assoluto e lo scenario è distante anni luce da quelli citati in precedenza. Ma come sarebbe in grado di testimoniare persino il più disinteressato degli stagionali che si sia trovato a lavorare anche pochi giorni in qualunque megastore, centro commerciale o ipermercato, varcare la soglia di un magazzino durante un periodo “caldo” per il settore (Natale, Black Friday, sottocosti vari) è un’esperienza non priva di rischi.
Nel tempo purtroppo l’eccezione è diventata la regola, nel senso che mentre una volta questi eventi si presentavano in modo ciclico e con una certa costanza, oggi sappiamo tutti che a causa di rotazioni delle merci sempre più rapide, una cattiva gestione dello stoccaggio e soprattutto organici ridotti al limite è sufficiente una minima variabile fuori controllo (il collega malato, un magazziniere bloccato nel traffico, scarichi merce che si accavallano) per trasformare una normale giornata lavorativa nella versione logistica di Giochi senza Frontiere, dove qualunque mammifero bipede disponibile e provvisto di arti diventa all’istante abile e arruolato a consegnare lavatrici e side-by-side, spostare il muletto, oppure dover scavalcare letteralmente interi bancali o “sbancalare” da capo a piedi pedane di merce a mani nude quando le corsie sono talmente intasate che i prodotti sono impossibili da movimentare o anche solo da raggiungere.
Sebbene non immune, al gentil sesso vengono per fortuna concesse alcune eccezioni; all’opposto, chiunque abbia l’imprudenza di farsi sfuggire una passione per il fai da te verrà velatamente esortato a aggiustare porte, eseguire lavori di idraulica, tagliare lamiere, sistemare cavi scoperti o quadri elettrici, riparare macchinari di lavoro. Il tutto sempre ovviamente all’insegna del “presto e bene”! E perché mai? Ovvio, perché nel frattempo il reparto/magazzino è scoperto e c’è già un cliente che aspetta, e non sia mai che debba attendere qualche minuto in più, potrebbe spazientirsi ed andarsene con conseguente perdita di vendita e fatturato, locuzione che solo a nominarla nei CDA fa scattare ulcere e mancamenti. Se non è il cliente, si tratterà di un altro compito altrettanto urgente. Va da sé che combinare due elementi come “operazioni potenzialmente pericolose” e il “presto che è tardi” equivale a creare un mix altamente instabile, la base ideale per un infortunio, ipotesi tutt’altro che remota e che in ultima analisi finisce comunque come voce nel bilancio. Fermo restando che se parliamo di superfici dove transitano anche centinaia di persone al giorno un infortunio è forse l’ipotesi più auspicabile.
La sicurezza poi si manifesta sotto altri aspetti, di sicuro più sottili, ma dagli effetti altrettanto tangibili: quando si viene accolti da batterie di luminarie fortissime e sfarfallanti, televisori e filodiffusione perennemente gracchianti che strillano a volume sempre troppo alto che è partita la promozione più pazza più assurda più folle, allarmi che detonano senza preavviso come granate nella giungla, a cui fa subito seguito il tuffo di testa di qualche addetto sull’orlo di una crisi di nervi; ebbene, anche i clienti più propensi all’acquisto difficilmente potranno evitare di avvertire un certo livello di tensione di fronte a un simile assalto sensoriale, men che meno i lavoratori.
Edgar