La pandemia ha impresso cambiamenti repentini, condizionando modelli di business, rapporti professionali e personali. Cosa è successo nella filera della distribuzione specializzata e su che basi si prepara ad affrontare il periodo di ripresa? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Scozzoli, presidente di Aires (Associazione Italiana Retailer Elettrodomestici Specializzati).
Scozzoli, come avete gestito l’emergenza in Aires?
“Abbiamo avuto le idee chiare fin da subito su cosa l’associazione era chiamata a fare. Fin dal primo Decreto dell’11 marzo, con il lockdown quasi totale, i nostri negozi potevano rimanere aperti. Voglio sottolineare che l’assimilazione del nostro settore ai beni di prima necessità è in coerenza con tutto il lavoro fatto da Aires in sede istituzionale, che ha portato per esempio a includere il nostro comparto nella fruizione del reddito di cittadinanza o della carta del docente. Riguardo a noi, da principio abbiamo avuto momenti di incertezza, non tanto sulla possibilità di rimanere aperti, ma sull’opportunità di farlo, nella prospettiva di un calo drastico dei fatturati, effettivamente registrato (-80%) da metà marzo ai primi di aprile, assestatosi poi su un -50% delle settimane successive. Abbiamo avuto aperture a macchia di leopardo, in relazione alle diverse situazioni regionali e di ubicazione, penalizzante nei centri commerciali, premiante per i negozi di vicinato; grazie allo spirito di sacrificio di alcuni colleghi, comunque il 65-70% dei negozi è rimasto sempre aperto”.
Come vi siete organizzati e su cosa siete intervenuti?
“Fortunatamente, il nostro Consiglio direttivo è formato da poche persone, rappresentative e collaborative. Abbiamo organizzato una piccola cabina di regia, ci riunivamo virtualmente ogni lunedì per affrontare la confusione iniziale e i problemi che via via venivano dagli associati. L’attività principale era fornire risposte immediate sull’interpretazione delle disposizioni di Governo, spesso non di immediata comprensione. In questo è stato prezioso il contributo dell’avvocato Davide Rossi, direttore generale di Aires. La nostra operatività si è concentrata sul diramare note esplicative, supportare gli operatori nelle contestazioni più varie mosse dalle forze dell’ordine, alle prese con l’applicazione di decreti non sempre chiari. Siamo anche ricorsi alle pagine dei quotidiani per fare chiarezza sulla legittimità di venire a comprare nei nostri negozi. Parallelamente, è continuata l’attività di rappresentanza presso le istituzioni, particolarmente intensa dato il periodo. Direi che siamo stati un punto di riferimento in mezzo al piccolo caos, districandoci fra l’interpretazione di disposizioni nazionali, regionali e intervenendo con documenti chiarificatori a volte anche presso i sindaci dei comuni”.
E ora da dove riparte il settore?
“Innanzitutto dalla sicurezza. Sul piano dei dispositivi di protezione, restando aperti, abbiamo adottato da tempo tutte le misure previste sia per il personale che per i clienti, ottimizzando, tramite la nostra cabina di regia, le forniture dei materiali necessari. Abbiamo poi predisposto una linea guida comune per la sicurezza nelle diverse superfici di vendita, con indicazione della capienza massima di clienti in funzione delle dimensioni del negozio, sempre in base alle direttive del Governo. Posso dire che siamo in grado di offrire tutte le garanzie di sicurezza con una certa tranquillità, non prevediamo purtroppo affluenze straordinarie”.
Cosa cambia nel vostro modello di business, nel vostro impegno con il cliente?
“Faccio una piccola premessa. Veniamo da un rinnovamento generale, un decennio di ricambio generazionale, con i figli che subentrano ai padri, fondatori delle attività. Vendendo tecnologia, il nostro settore ha una vocazione ‘naturale’ all’innovazione, il che ci ha condizionato ad essere veloci nel trovare l’assetto migliore per intercettare il cliente. Questo DNA, presente anche negli eredi dei fondatori, si è rivelato prezioso in questo frangente, in cui i parametri tradizionali di ingaggio con il cliente sono saltati, e l’omnicanalità, di cui tanto si parla, è esplosa in tutta la sua potenza e chiarezza, attuando oggi quello che il settore si apprestava a integrare in un tempo più lungo e con velocità diverse. Tutti, per mantenere il rapporto con i clienti, sono ricorsi a canali alternativi rispetto all’ingresso fisico in negozio: chi con il web, chi con il telefono, chi tramite i social, o con tutti questi strumenti. E il contributo dei giovani delle nostre imprese è stato fondamentale, la loro moderna visione strategica applicata in azienda si è rivelata di vitale importanza. Lo abbiamo visto molto bene nei negozi di vicinato, che hanno saputo coniugare un vantaggio competitivo determinato dalla loro ubicazione, con l’uso di canali alternativi per ingaggiare il cliente tramite relazioni via web, telefono, social. Una strategia gestita soprattuto dalle giovani generazioni, con un ovvio supporto delle varie centrali”.
L’emergenza ha azzerato la resistenza generazionale al cambiamento?
“In un certo senso, ma con una considerazione da fare: le nostre aziende si rivolgono a un target globale, i nostri clienti comprendono tutte le fasce di età, di genere, di estrazione sociale e culturale. In pratica ci rivolgiamo a tutti, e dobbiamo perciò mantenere tutti i canali aperti e attivi, dai più tradizionali ai più innovativi. Non un gran vantaggio in termini di costi, ad esempio produciamo i volantini digitali ma anche quelli analogici. Coesistono più anime nelle nostre aziende: una più tradizionale e una più innovativa: il papà che si rivolge a una clientela di persone adulte, con cui magari coltiva rapporti personali, peraltro relazioni molto preziose che grandi superfici moderne faticano a intrattenere. E il figlio, che ingaggia giovani utenti, con modalità di comunicazione tipiche della sua generazione. Dunque il problema secondo me è piuttosto nella modalità di integrazione dei due fronti. È certo che l’emergenza ha imposto un’accelerazione al processo, la quota di business online si è duplicata e triplicata, anche se penso che, finita l’emergenza, si assesterà su valori più bassi. Ma è innegabile che, in questa esperienza, le nostre aziende siano state stimolate a meglio valutare l’integrazione del web e altri canali non tradizionali. Questo sarà uno degli impegni per il futuro, ma senza dimenticare che nello scenario multicanale noi siamo soggetti a una concorrenza non sempre corretta, con condizioni di disparità fra il mondo del commercio fisico e quello virtuale delle grandi piattaforme, una su tutte Amazon. Aires è impegnata a portare avanti istanze per rendere più corretto il contesto competitivo”.
Amazon è anche sinonimo di servizio. Ciò che hanno offerto i vostri negozi di vicinato durante l’emergenza…
“Senza dubbio c’è molto da fare e da imparare nella direzione dei servizi, e di capire cosa apprezza il cliente. Ma in un mercato deregolamentato giochiamo ad armi impari, noi abbiamo obblighi fiscali e burocratici, lacci, lacciuoli e tassazioni che altri player (del web) non hanno. Prendiamo i RAEE: questi soggetti possono permettersi di dare un servizio quanto meno discutibile, a differenza nostra. È solo un esempio di come però poi possono disporre di risorse da investire nel business che a noi mancano. Comunque sono d’accordo: dobbiamo focalizzarci di più sui desiderata del cliente, facendo leva sul nostro vantaggio competitivo: la dimensione fisica”.
A proposito di leve, il sottocosto vedrà il suo tramonto?
“Premetto: dobbiamo valorizzare meglio il nostro aspetto differenziante, in una parola la fisicità. E’ l’unico modo per uscire dalla promozionalità esasperata. Quanto al meccanismo promozionale, questo è insito nel nostro settore, trattiamo prodotti omni-comparabili, è naturale usare la leva promozionale. Il consumatore è sempre sensibile al prezzo migliore, ma sempre di più anche al servizio. Lo abbiamo verificato nel periodo che stiamo vivendo: in assenza dell’attività promozionale sul canale fisico - sul web è continuata -, l’aspetto di maggior peso è stato il servizio, l’esserci fisicamente, nel momento del bisogno essere raggiungibili e vicini al cliente. Questa è una lezione da assumere, ma con il ritorno alla normalità, credo che assisteremo ancora al fenomeno della promozionalità spinta. Sono convinto però che l’esperienza vissuta ha reso molti nostri associati più consapevoli del potenziale che hanno a disposizione, il che potrebbe favorire una più convinta valorizzazione di alcuni elementi, del nostro ruolo nella società. Ora lo abbiamo verificato: siamo un punto di riferimento e di aiuto per consumatore, al pari di altri player, e per certi versi anche di più”.
Assisteremo alla battaglia per la riconquista delle vendite perdute?
“Non credo. Ho contatti con altri paesi che stanno già uscendo dall’emergenza pandemica. Mi raccontano che stanno recuperando fatturati, ma in modo naturale e spontaneo, come dire che gli acquisti riprendono da dove si erano bloccati. Questo confronto mi ha rassicurato nella convinzione che ci sarà un recupero senza particolari forzature. E poi alla luce delle necessità che si sono palesate, stiamo lavorando come associazione su alcune opportunità. Pensando ad esempio alla prospettiva della scuola a distanza, e al fatto che - dati Istat alla mano - un terzo delle famiglie italiane non ha un computer in casa, stiamo dialogando con il Ministero per inserire nelle dotazioni della carta dello studente tali dispositivi utili. Anche lo smart working ha aperto altri orizzonti da sviluppare. E per sostenere in modo proattivo i consumi, pensiamo di confrontarci con le istituzioni sulla ridefinizione dell’ecobonus per gli elettrodomestici, ora fruibile solo in vincolanti condizioni di ristrutturazione. Ci affacciamo a un nuovo modo di vivere e lavorare, che richiede tecnologia e quindi supporto dei retailer, una conferma del nostro ruolo, anche sociale”.
Previsioni per il futuro?
“Da un punto di vista dei fatturati non ritengo che si possa recuperare quanto perduto. Il mio auspicio è che si possa mantenere un risultato finale intorno a un -10% rispetto allo scorso anno. Sul fronte della rete, non credo ci saranno particolari perdite, la selezione naturale - anche drammatica - di questi ultimi dieci anni, che ha portato a un riassetto del nostro panorama distributivo, in un certo senso è terminata. In questa esperienza le compagini tradizionalmente più deboli non hanno sofferto particolarmente, anzi a volte meno di altre realtà. Ed è significativa la reazione registrata in tutti gli associati: darsi da fare, rimboccarsi le maniche, capire che c’era una missione da compiere, è stata una grande lezione di consapevolezza del ruolo che occupiamo nel Paese e di quali bisogni siamo chiamati a soddisfare. Credo che, oltre a una accelerazione dell’integrazione omnicanale di cui abbiamo parlato, l’esperienza ha rafforzato consapevolezza e ruolo del negozio fisico, anche in chi prima poteva dubitare sulla opportunità di puntare su questo asset. Se i numeri (di fatturato) ci sosterranno, superata la paura prevarrà la voglia di continuare un lavoro che ci appassiona tanto, con maggior consapevolezza, e con il supporto delle nuove generazioni che avranno più considerazione e titolo per collaborare. Sono ottimista”. (lorella carminati)