Paolo Cocci Grifoni, dopo dieci anni passati in Expert Italia come responsabile vendite fianco a fianco con Roberto Omati, dall’ottobre 2019 ha intrapreso una nuova sfida. Ha assunto infatti la carica di direttore generale in Gaer, la società cooperativa che, sempre nel mondo Expert, riunisce circa 200 soci titolari di negozi di elettronica di consumo distribuiti su gran parte del territorio nazionale. In questa intervista Cocci Grifoni racconta i primi mesi della sua nuova esperienza e come ha vissuto, insieme alla sua compagine sociale, gli impegnativi mesi che hanno caratterizzato il primo semestre 2020.
Quale realtà ha trovato in Gaer, era quello che immaginava?
“In Gaer ho trovato esattamente ciò che mi aspettavo: la qualità delle persone e dell’organizzazione commerciale e logistica; soprattutto la possibilità di riuscire a lavorare in maniera - userò un termine forte - ‘sincera’, nel senso che non ho trovato nei soci, nel cda, nei colleghi sovrastrutture mentali o strani giochi di ruolo e di potere con cui fare i conti. È un’azienda incredibilmente calata nel territorio. Siamo presenti nelle grandi città con negozi adeguati, ma siamo i ‘leader della provincia italiana’. Voglio dire che la tipologia del negozio Gaer è quella di società guidate da singoli imprenditori, nei negozi ci sono spesso mogli, figli, cognati, insomma storie di famiglie che lavorano insieme. Dunque è un contesto fiduciario e familiare, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ciò comporta. Per noi questo è un forte stimolo e una responsabilità, dobbiamo offrire un pacchetto di servizi - e nei servizi ormai includo i prodotti - completo, con griglie di assortimento molto trasversali. In dieci anni presso la centrale di Expert ho avuto modo di conoscere a fondo tutte le realtà. Gaer era l’unica che per le sue caratteristiche mi potesse convincere a ricambiare ruolo, lavoro e casa”.
Quali sono i numeri di Gaer oggi?
“Oggi l’azienda opera su 17 regioni, serviamo circa 350 punti di vendita ed è composta da circa 195 soci iscritti, oltre a molti affiliati. Alcuni di questi soci sono cooperative locali e contiamo anche alcuni grossisti e distributori. Circa il 70% del fatturato totale viene sviluppato con l’insegna Expert. Posso affermare che il nostro focus è sui negozi, soprattutto - ma non solo - di prossimità. Buona parte dei nostri negozi opera in bacini con svariati antagonisti, uno stimolo a produrre proposte commerciali attrattive e adeguate per incentivare i clienti a non cercare altrove. Ed è il nostro scopo: far trovare localmente sempre un’offerta adeguata. Nel 2019 abbiamo fatturato 173 milioni, in netta crescita rispetto agli anni precedenti, anche perché nel 2017 e 2018 sono confluite in Gaer organizzazioni che provenivano dal mondo Expert, come General Service (la netta maggioranza dei soci) e Equipe; e anni addietro erano confluiti in Gaer i soci Coeco. Gaer è stata una sorta di catalizzatore per chi, provenendo da consorzi più piccoli, desiderava agganciarsi a un gruppo cooperativo più grande. I soci Gaer hanno compreso che si tratta della loro cooperativa e la costante attività che svolgiamo in centrale è quella di migliorare i conti economici dei nostri soci. Tranne i costi di funzionamento, tutte le risorse prodotte, le economie realizzate, le opportunità commerciali, sono ad esclusivo vantaggio dei nostri soci”.
Come avete gestito il picco dell’emergenza sanitaria?
“Alla metà di marzo abbiamo tutti compreso, peraltro di notte, che si stava per fermare l’Italia intera. Ma sapevamo che la mattina seguente avremmo comunque dovuto fare qualcosa. Così abbiamo fatto. Il mattino successivo ho riunito i miei collaboratori, e lì è emerso il carattere pratico della provincia: non c’è il super manager che fa sempre tutto o finge di saper cosa fare. Qui ci sono persone che attivano il cervello e trovano soluzioni di buon senso con spirito di collaborazione. In quel momento, quindi, mi sono trovato con i miei collaboratori più stretti e in una giornata abbiamo messo a terra il nostro piano d’azione, che è stato semplice: tutto il personale dell’ufficio in 48 ore è stato posto in condizione di lavorare da casa in piena efficienza e continuità. La squadra logistica è stata suddivisa in due gruppi in modo che tra questi ultimi non si avessero mai contatti. Ho infatti pensato a salvaguardare la continuità operativa. Per fortuna nessuno ha contratto il virus. Posso affermare che la Gaer non sì è fermata un minuto, lockdown incluso”.
Dopo il mercato si è rilanciato, e pure bene. E’ così?
“Devo fare un inciso: in marzo abbiamo intuito che il rischio di una ripartenza dolorosa dal lato della disponibilità di merci era molto alto. E visto che la nostra forza sono la logistica e la disponibilità del prodotto a 360 gradi, l’idea è stata quella di non fare i pavidi e così non abbiamo bloccato il ricevimento delle merci viaggianti. Per tutto il mese di marzo - come formichine - abbiamo accumulato prodotti. E siamo arrivati al limite della capacità fisica della nostra logistica, stivando merci lungo le corsie. Questa intuizione è stata la nostra fortuna. Quando tutto è ripartito eravamo nelle condizioni ideali di fornitura. A giugno abbiamo raggiunto il risultato storico della Gaer: il gruppo ha realizzato il fatturato più alto in assoluto di tutta la sua storia di quarant’anni. Poi quando pensavamo che la bolla consumistica fosse esaurita è arrivato luglio, che è stato il nuovo mese più rilevante per la Gaer. Abbiamo fatturato oltre 40 milioni in due mesi - giugno e luglio -, numeri stellari. Ma è stato possibile solo grazie alle scorte che avevamo accumulato, alla disponibilità finanziaria e soprattutto alla disponibilità di tutto il personale, che ringrazio sinceramente, perché l’industria si è trovata immediatamente i magazzini europei e italiani sotto la soglia di guardia. Alla fine però siamo riusciti non solo a recuperare la perdita di 7 milioni registrata in marzo e aprile, ma addirittura abbiamo migliorato di 8 milioni il fatturato sul periodo gennaio-luglio rispetto allo scorso anno”.
Questo dimostra che il punto vendita di prossimità non è affatto morto, anzi è ritornato di moda. Per quale motivo? E sarà un cambiamento definitivo?
“Qui entriamo nel campo delle ipotesi. La prima è l’obbligatorietà: tutte le persone che si erano disabituate a comprare nel loro Comune dal rivenditore locale, sono state costrette dalle disposizioni governative a farlo. In questi punti vendita a conduzione familiare hanno ritrovato la grande disponibilità e professionalità di imprenditori che gestivano il negozio in piena sicurezza: la loro, quella dei collaboratori e dei clienti. Persone che hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo. Abbiamo registrato che il 90% dei nostri soci sono intervenuti su richieste dei propri compaesani, cambiando lavatrici per non lasciare famiglie in difficoltà, consegnando a casa persino toner per le stampanti e pile! I consumatori hanno riscoperto che il tanto vituperato negozio di paese poteva offrire un pacchetto di servizi completo in tempo reale. La realtà è che in Gaer abbiamo centinaia di Amazon di vicinato. Adesso bisogna consolidare la nuova sensibilità e la nuova cultura raggiunta: tutti, noi che forniamo servizi e voi che fate comunicazione, dobbiamo far sì che gli operatori di questo tipo di distribuzione possano continuare e migliorare ancora l’offerta di prodotti e servizi, dopo aver rimosso il retaggio culturale degli anni ’80-’90 secondo cui il cliente che entrava in negozio era da sfruttare, invece che una risorsa da mantenere, alimentare e accontentare. Reputo anche che non sia solo la disponibilità e il costo dei prodotti, quanto la velocità e l’efficienza locale che ha fatto la differenza. A noi tutti la responsabilità di progredire ancora in questa direzione”.
Il negozio di vicinato torna ad essere una risorsa per il mercato e da qui nasce la necessità di organizzazioni che siano estremamente efficienti.
“E trasversali, perché oggi il negozio di vicinato deve avere anche prodotti entry level, altrimenti i clienti si rivolgono alla GDO o sui marketplace di turno. Allo stesso tempo deve essere capace di motivare, spiegare ed enfatizzare le differenze di valore tra i prodotti proposti. Se i negozi di vicinato iniziassero a fare i “pusher” di prodotto avremmo sbagliato tutto. Se la Gaer non avesse una trasversalità di offerta di prodotti, se non fossimo in grado di far valere e motivare il valore di ciò che vendiamo, avremmo sbagliato tutto. Dobbiamo ridare valore al valore”.
Qual è la prima riflessione che le viene guardando al periodo appena trascorso?
“Organizzazioni come quella che gestisco da un anno sono riuscite in momenti terrificanti come quelli di marzo e aprile a farcela con i propri mezzi. Sono aspetti da enfatizzare in un mercato da tempo in difficoltà. Nella nostra organizzazione, nei primi giorni del lockdown, il nostro Cda si è trovato compatto nel varare strumenti finanziari straordinari ed abbiamo allungato i tempi di pagamento dei soci per il periodo aprile-maggio-giugno a tutta la base sociale. La Gaer ha lo stesso DNA delle realtà che la compongono: aziende imprenditoriali con una predisposizione a non sperperare risorse e invece a realizzare investimenti coerenti. Quindi ci siamo permessi, in un momento in cui gli incassi giornalieri precipitavano pericolosamente, di allungare i pagamenti dei soci e abbiamo effettuato il saldo premi, che storicamente liquidavamo a giugno, con un mese di anticipo, a maggio. In questo modo i soci hanno potuto disporre delle risorse finanziarie necessarie. Grazie alla storica solidità finanziaria di cui disponiamo, ci siamo aiutati da soli, pur tra mille difficoltà. Non dimentichiamo che il fatturato di vendita nei negozi durante il lockdown aveva registrato diminuzioni fino all’80%. In pratica, l’attività dei nostri soci è stata più di tipo sociale che di profitto. E’ nei momenti straordinari che bisogna produrre risultati straordinari e i nostri soci, tutti i colleghi in Gaer ed ogni singolo componente di questa grande comunità, hanno contribuito a questo splendido risultato in un periodo davvero complicato”.