Quando negli scorsi articoli abbiamo analizzato la “strategia emergente” basata sul coinvolgimento diretto del management considerato non di alto livello - addetti alla vendita ed agenti/accounts compresi -, non siamo però mai andati nel concreto.
Considerare il cliente “al centro” significa conoscere il motivo reale per cui quel cliente acquista un dato prodotto rispetto ad un altro, perché lo fa in un dato momento della giornata e in un dato luogo, fisico o virtuale che sia.
Quindi per illustrare concretamente di cosa stiamo parlando, abbiamo condotto una ricerca su un campione rappresentativo di 500 consumatori, dai 18 anni in su, per ricomprendere parte della Generazione Z (nativi digitali), i Millennials e gli over 50. Abbiamo chiesto innanzitutto chi avesse nell’ultimo anno effettuato un acquisto on-line, verificando una percentuale dell’89,9%. Siamo andati poi a sondare cosa li avesse spinti (motivazioni) ad effettuare questi acquisti a prescindere dalle misure di lockdown.
Naturalmente sono emerse considerazioni anche sul retail fisico, riassumibili in tre tendenze che sono l’una la conferma dell’altra e delineano la chiave che deve spingere le aziende nell’adozione di una “strategia emergente” legata all’arcinota “customer centricity”. La maggioranza degli intervistati, pari al 35,2%, considera il volantino non interessante e percepito come fattore negativo, seguito dalla scarsa attenzione all’accoglienza in negozio che si attesta al 20%. Tale maggioranza viene avvalorata da altri due dati. Uno proviene dal mercato (ShopFully e GFK) e ci dice che solo un volantino su 6 viene consultato; ed uno interno alla ricerca, secondo il quale il 23,5% vorrebbe promozioni dirette e personalizzate, a cui si aggiunge il 30,1% di coloro che desidererebbero anche la consegna a domicilio da parte del retail. E se il trade andasse incontro a queste esigenze da parte dei consumatori, costoro sarebbero disposti a pagarlo un prezzo più caro in negozio anziché online? Il 59% ha dato una disponibilità a pagarlo sino al 5% in più, il 38% sino al 10%, il 3% lo pagherebbe più caro del 10%.
Insomma, la omnicanalità sarà pure un concetto nobile ma la maggior parte delle volte si traduce in comportamenti operativi non perfettamente aderenti al mercato. Queste informazioni sono recuperabili quotidianamente attraverso l’organizzazione periferica delle aziende, se la periferia - punto di contatto con il mercato - ricevesse la giusta attenzione da parte della centrale. Il top management non dovrebbe fare altro che prendere queste informazioni e trasformarle in strategie e processi.
Riprendiamo ora il problema della logistica e dell’aumento dei noli di spedizione. La maggior parte delle aziende oggi è costretta a scegliere tra aumentare i prezzi di listino o tenere le posizioni a discapito dei margini, in attesa che la bolla speculativa cessi. Se venisse attuata la strategia appena descritta potremmo ammortizzare il colpo dal 5 al 10%, cioè il sovrapprezzo che il cliente sarebbe disposto a pagare. Se a questo aggiungiamo il rientro della produzione in Europa con una diversa impostazione del modello di business che regola il rapporto tra brand ed insegna, sicuramente il mercato cesserebbe di “bruciare” valore.
Questo comporterebbe da un lato il rafforzamento vero e concreto (non quella da convegno) della partnership tra distribuzione ed industria; dall’altra parte una predisposizione diversa da parte del top management rispetto al proprio ruolo all’interno dell’organizzazione aziendale che diviene capacità di sintesi tra mercato ed allocazione delle risorse con susseguente traduzione in strategia e codifica dei processi. Assistenti alla vendita da una parte, accounts commerciali dall’altra diventano risorse fondamentali su cui investire in termini anche di formazione ad hoc nella direzione che abbiamo provato a spiegare. L’intelligenza artificiale, da molti considerata fondamentale, è importante. Tuttavia per avere un quadro corretto ed utile nell’allocazione dei nostri assets abbiamo bisogno di un modello di analisi integrato su più livelli. Torniamo quindi al volto umano di cui abbiamo parlato qualche articolo fa.
I Big Data sono sicuramente una risorsa essenziale per l’evoluzione, ma sono dati storici che sono utili laddove vengano utilizzati in modelli in cui possa emergere il fattore comportamentale del consumatore da cui quei dati provengono. Questo evita la generalizzazione degli stereotipi. Nella nostra ricerca non c’è un reale cluster preponderante, certi aspetti sono oggettivamente comuni a tutte le classi analizzate secondo opportune ponderazioni.
La condivisione di esperienze tra settori diversi è spesso di aiuto, soprattutto quando troviamo mercati accomunati da tendenze simili. Partecipando ad un convegno sul Food Retail mi sono appuntato due frasi. Mario Gasbarrino, AD di Decò Italia, in relazione alla necessità di ripensare l’uso eccessivo dello sconto, chiosava il suo intervento affermando: “Noi il coraggio ce l’abbiamo per cambiare, è la paura che ci frena”, che sottolinea il conflitto tra necessità e realtà operativa. L’altra espressione è di Giorgio Santambrogio, AD del Gruppo VèGè, che ha dato al negozio la definizione di “Punto Valoriale dove il rapporto tra cliente ed insegna si eleva ad un livello tale da non permettere più di barare o disattendere le aspettative”.
Luigi Del Giacco
Esperto di Change Management