Gennai, qual è l’identikit della figura del category manager di oggi rispetto a quella del passato?
“Subito una considerazione, forse anche impopolare: credo che molto spesso nel passato si sia attribuito al ruolo di Category Manager una job description errata identificandolo in chi si occupava soprattutto degli acquisti, con la preoccupazione principale di ottenere le condizioni più favorevoli, o in chi ricopriva un ruolo di gestione dei buyer, indipendentemente dalla capacità di mostrare un approccio evoluto al category management. Il Category Manager deve essere certamente un ‘manager a 360° gradi’, che, in linea con la value proposition dell’insegna ed il ruolo assegnato alla propria categoria, è in grado di muovere tutte le leve di retail mix (assortimento, pricing, spazio, display, promozione, servizio) studiando il comportamento d’acquisto dei consumatori su tutti i canali di vendita online ed offline. Il Category deve saperne comprenderne i bisogni e possibilmente anticiparli, analizzare la competizione nazionale e internazionale, sia essa diretta che indiretta, ed essere in grado di identificare rapidamente quelle azioni manageriali che, in collaborazione con l’industria di riferimento, sappiano generare valore per il consumatore e per l’azienda. Insomma deve essere una figura di visione, ma con i piedi ben piantati a terra, che abbia il coraggio necessario per portare avanti scelte ardue e in grado di indirizzare i cambiamenti evolutivi della categoria. Non da ultimo, deve saper garantire sviluppo e crescita professionale al team che gestisce”.
Che ruolo ha il category manager di oggi nella fidelizzazione del cliente finale, affinché il suo rapporto con il punto vendita non sia solo una corsa all’ultimo volantino?
“Un ruolo, direi, sempre più centrale. Tra gli skill principali del category, c’è e ci sarà sempre più l’attenzione alla customer experience: deve domandarsi ogni giorno qual è l’esperienza che
vogliamo far vivere al consumatore all’interno dell’insegna e della sua categoria. Ovviamente parlo di insegna e non di punto vendita, essendo oramai assodata e inarrestabile la tendenza omnicanale del consumatore. In altre parole: se chi genera l’offerta/servizi non comprende l’importanza del suo ruolo nella costruzione della customer journey perfetta, probabilmente non ha compreso appieno il suo ruolo e la potenzialità della posizione”.
Il retail ha probabilmente bisogno di una maggiore programmazione, che permetta di gestire al meglio la relazione con l’industria. Come si inserisce il category manager in questa attività?
“Insieme ai suoi collaboratori, il Category Manager deve distinguersi per il buon intuito commerciale. È impensabile limitarsi all’osservazione dei soli dati di mercato, altrimenti rischiamo semplicemente di entrare nel loop della conservazione, senza far evolvere domanda e offerta. Anticipare, coinvolgere, trascinare, ascoltare, pianificare, sono parole cardine nella relazione con l’industria. Per facilitare questa attività non può mancare una buona struttura di Forecasting e Replenishment che, integrata nelle attività giornaliere, possa supportare l’organizzazione del Category Manager nel compiere le scelte più corrette per soddisfare una domanda influenzata da molte variabili”.
Spesso il buyer viene erroneamente chiamato category manager. Quali sono le differenze sostanziali tra i due ruoli e come valorizzare l’utilità del category per il trade attuale?
“È un errore comune tra i non addetti ai lavori. In generale, il Category Manager è chiamato ad avere una visione d’insieme, che elabori una strategia da perseguire per intercettare le esigenze del mercato e proporre ai consumatori un’esperienza di acquisto completa e appagante. Il Buyer pianifica i rifornimenti ed è il responsabile della negoziazione dei termini dei contratti di fornitura, di cui garantisce il miglior prezzo d’acquisto e il rispetto dei termini. In Unieuro, tuttavia, abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti per consentire una ancor più concreta differenziazione dei ruoli tra le due figure professionali. Per consentire al Category Manager di assolvere al ruolo a lui designato, è importante infatti che il Buyer entri in una nuova dimensione, e per garantire alle due figure professionali un corretto e congruo posizionamento professionale abbiamo intrapreso un processo di cambiamento strutturale, che è iniziato con il cambio del job title e in parallelo della job description. Siamo quindi passati dal Buyer al Product Manager, integrando al suo interno non solo la funzione primaria di gestione della relazione con l’industria e negoziazione, ma anche le competenze di analisi, di relazione con gli stakeholder interni ed esterni, la massimizzazione della marginalità dei product group assegnati, la clusterizzazione degli assortimenti, l’identificazione delle migliori soluzioni espositive e, non da ultimo, la consapevolezza che ogni sua scelta avrà un impatto sulla relazione con il consumatore”.
Quali sono le leve del category management per combattere la riduzione dei margini?
“Credo che frenare la contrazione della redditività dipenderà molto dalla capacità che una insegna avrà nel costruire elementi differenzianti rispetto alla concorrenza. Dobbiamo essere distintivi e innovativi, spostando l’attenzione del consumatore dal mero prezzo al valore della relazione con l’insegna. Se analizziamo mercati e settori merceologici diversi dal nostro, possiamo immediatamente comprendere come l’erosione della profittabilità sia stata compensata dalla capacità di costruire un rapporto ‘unico’ con in cliente, passando così da una logica di acquisti opportunistici a una logica di relazione con l’insegna”.
Nel mercato di oggi manca talvolta la cultura del category management: come accrescerla e renderla applicabile al retail del presente e del futuro?
“L’evoluzione e l’implementazione della figura del Category è nelle nostre mani, non esiste nessuna ragione oggettiva che ne inibisce lo sviluppo. Dobbiamo essere coraggiosi e consapevoli che è un percorso evolutivo che dobbiamo intraprendere oggi per averne grandi vantaggi nel medio termine. Questa scelta, che Unieuro ha adottato con tempismo, implicherà una sempre maggiore capacità relazionale anche con l’industria, la quale a sua volta dovrà necessariamente mutare nel modello relazionale con il retail e il consumatore finale”.