Decido di cambiare il cellulare e mi rivolgo al punto vendita della mia città, appartenente a una nota insegna, rinomato ad Ancona per la disponibilità e la competenza degli addetti alla vendita. Non ho particolari esigenze e mi lascio guidare da un giovane commesso all’interno del box telefonia. Mi propone due alternative simili spingendomi verso l’acquisto di uno dei due. Accetto il suggerimento e mi concentro sulla cosa che per me conta di più: avere tutti i dati del vecchio cellulare sul nuovo e non perdere i messaggi di lavoro in arrivo. Nessun problema, mi rassicura, ci vorrà solo un po’ di tempo. È così che, fiduciosa nel servizio e nella serietà del negozio, decido di lasciare lì i miei due telefoni – il vecchio e il nuovo – fino all’indomani. “La chiamerò sul numero di sua figlia appena finito il back-up. Domani sono in turno, me ne occuperò io”. Vivo per una sera l’ebbrezza della libertà da cellulare soddisfatta del mio nuovo acquisto e sicura di ritirare, il giorno seguente, un cellulare immacolato e pronto all’uso, completo di tutti i miei dati.
Alzano il tono di voce
Qualcuno dal punto vendita mi chiama alle 10,30 del mattino dopo e in mezz’ora sono là. Non vedo l’addetto della sera prima, ma una delle tre commesse presenti mi consegna il trofeo. So di aver ricevuto dei messaggi su WhatsApp, so anche che quei messaggi sono stati visualizzati e mi aspetto di trovarli. Però non ci sono. Chiedo spiegazioni, ma la risposta è che durante il trasferimento dati è normale perdere qualcosa. Una specie di rischio calcolato e da accettare. Dico che se sono stati visualizzati da qualche parte saranno, nel nuovo telefono oppure nel vecchio, e che vorrei vederli. Alzando il tono della voce spiegano che ciò non è possibile e che quello è il mio cellulare nuovo e che adesso posso andare. Quella è la scatola. Mi porgono un piccolo pacco con la fattura di acquisto e altre carte appallottolate. Provo a insistere per avere i miei messaggi ma le tre addette sono definitivamente scocciate. Una dice che ha quasi finito il turno, un’altra che è impegnata con un cliente, la terza che il lavoro è stato fatto e se ho perso i messaggi la colpa non è sua. E comunque per il mio problema non esiste soluzione, ché perdere qualcosa è normale.
Mia figlia dodicenne
Mia figlia dodicenne prende entrambi i telefoni, passa la sim dall’uno all’altro e in due minuti mi mostra tutti i messaggi perduti sullo schermo del vecchio cellulare. Ora però WhatsApp è sul telefono vecchio, si tratta di ritrasferire l’applicazione sul nuovo. Le commesse si guardano e iniziano a correre avanti e indietro dentro al recinto del loro box: una guarda l’orologio, un’altra asciuga una cover col phon mentre l’ultima esce infine dall’area telefonia. Resto in attesa, ma non ricevo risposte. Sembra che il mio tempo sia esaurito. Chiedo di parlare col direttore. Il direttore non c’è, è appena andato via, chiedo di parlarci al telefono finché, di malavoglia, me lo passano. Neanche lui è sicuro di poter fare qualcosa per me, devo accettare il rischio, sostiene.
Nessuno sa niente
Dico che i rischi sono accettabili quando sono calcolati, ovvero conosciuti, ma che nessuno mi ha prospettato quella possibilità. Intanto dentro al box stanno ripetendo l’operazione di trasferimento dati, ne chiedo il motivo, nessuno lo sa. Mentre mi riconsegnano il telefono senza nulla di fatto mi accorgo che il vetro protettivo che ho comprato il giorno prima non è applicato. Chiedo lumi e mi rispondono che il vetro c’è. So benissimo che quello è il vetro in dotazione, ben diverso da quello scelto e comprato la sera prima. Le tre addette si chinano a guardare lo schermo, cercano di alzare il vetrino presente con uno strumento appuntito e concludono che in effetti non si tratta della pellicola acquistata. Adesso la applicheranno. L’addetta che fino a un attimo fa asciugava una cover col phon riagguanta l’asciugacapelli da viaggio e si mette ad asciugare anche la mia. È ora di pranzo, sono due ore che aspetto. Anche in questo caso, spiegano, ci vorrà un po’ di tempo. Mi allontano infine al termine delle operazioni con la scatola in mano. Dopo pochi passi compare un messaggio sul display del telefono nuovo: “La tua password di Google è stata aggiornata”. Torno indietro ma nessuno sa niente. Non sanno perché né quale sia la nuova. E comunque, anche in questo caso, non ero stata avvisata. Frugo nel pacco di cartone e tra i fogli arrotolati trovo la nuova password. Ancora un attimo e avrei gettato quelle cartacce nel bidone.
Basterebbe poco, pochissimo
Tutto bene quel che finisce bene, no? Insomma. In definitiva al cliente basta poco per continuare ad affezionarsi al negozio, così come per disamorarsi e non tornare mai più. Come farò io. Sarebbe bastato un briciolo in più di attenzione e di cura, oltre che di precisione, per fare contenta una cliente qualsiasi dalle pretese minime. Magari anche un sorriso non sarebbe guastato. Ho avuto indietro i 20 euro del servizio trasferimento dati, ma non è quello che conta. Conta che purtroppo quel servizio andato a male è stata l’occasione per portare alla luce un vaso di disattenzione, pressappochismo e noncuranza, per non dire arroganza, da parte del personale. Peccato per un negozio cardine (o ex?) nel panorama delle superfici anconetane. (simona caporaletti)