Gli americani, si sa, amano dare un nome ad ogni cosa. La si può amare o la si può odiare, ma l’idea di racchiudere in pochi termini un concetto è spesso più efficace di mille parole. Il “nice-to-have”, ad esempio, è quell’oggetto o servizio di cui si potrebbe fare tranquillamente a meno, ma la sola idea di averlo ci spinge ugualmente all’acquisto. La traduzione letterale è “piacevole da avere”: potrebbe essere l’ultimo gadget tecnologico per l’intrattenimento domestico, oppure la possibilità di farsi arrivare la spesa senza uscire di casa o anche semplicemente la consegna del pasto a domicilio. Tutti quei piccoli lussi e comodità che sono stati offerti durante il periodo pandemico e post-pandemico e che hanno cambiato per sempre il nostro modo di pensare. Ecco, forse “per sempre” non è corretto, dato che per molti analisti è iniziato il tramonto del “piacevole da avere”. La fiducia nell'economia è quasi al punto più basso dalla recessione del 2007-2009, di conseguenza i consumatori stanno riducendo la spesa per la maggior parte delle cose. Il pasto a domicilio? Comodo, ma se posso andare al ristorante è meglio. La spesa a casa? Comodissima, ma alla fine mi accorgo di spendere sempre troppo per avere troppo poco, meglio andare di persona al supermercato. E’ uscito l’ultimo dispositivo ultra-tecnologico di tendenza? Bello, ma preferisco toccarlo con mano in negozio prima di decidere di acquistarlo.
I clienti tornano, ma nelle “ore di lavoro ibride”
Qualcosa sta spingendo i clienti nuovamente verso il punto vendita fisico, ma in due anni sono cambiate completamente le aspettative e le modalità di acquisto che i consumatori chiedono (e vorrebbero). Molte persone non lavorano più dalle 9 alle 17, altre lavorano da casa, eppure le attività di vendita al dettaglio sono rimaste bloccate in un’era diversa. L’effetto è che l’ora di punta è ormai assolutamente imprevedibile e potevano gli amici americani non inventarsi un termine anche per questo? “Hybrid work hours”, così chiamano negli USA gli orari di lavoro ibridi. Questa definizione si riferisce ad un modello di lavoro in cui i dipendenti combinano il lavoro in ufficio con il lavoro da remoto o da casa. In un'organizzazione con un orario di lavoro ibrido, i dipendenti possono trascorrere una parte della settimana lavorando fisicamente in ufficio e una parte lavorando in un'altra location o da casa. Prima del Covid aveva senso organizzare i turni intorno alla giornata lavorativa “tipo”, ma non è più il 2019 e anche se molti dipendenti sono tornati in ufficio, circa il 40% della forza lavoro svolge la propria attività ancora da casa per parte del tempo. Questi sono consumatori che non hanno bisogno di organizzare le loro commissioni o vite personali secondo un rigido schema, ma magari ci piombano in negozio alle due del pomeriggio di un giorno feriale e gradirebbero essere accolti al meglio. Chi gode di un orario flessibile o della possibilità di usufruire dello smart working è ancora visto come un privilegiato, ma i dati ci dicono che il lavoro da remoto proseguirà e verrà implementato più spesso nel futuro perché è vantaggioso sia per le aziende che per i dipendenti. I negozi dovranno quindi adeguarsi a questa possibilità e rendere lo shopping un'attività piacevole e divertente per il numero crescente di persone che avranno un orario di lavoro la flessibile. Abbandonare la vecchia concezione dell’orario di punta offrendo nuovi spazi per la socializzazione e proporre promozioni limitate durante gli orari “atipici” potrebbe essere un ottimo modo per incoraggiare i lavoratori remoti a trasformare le commissioni in tempo “sociale”, cioè coinvolgendo colleghi o amici per le loro commissioni.
Tutto molto bello, ma c’è la “friction”
Ci siamo ormai così tanto abituati ad ottenere il minimo di rapporti interpersonali possibili per raggiungere un obiettivo, sia esso l’acquisto di un prodotto o l’ottenimento di un servizio, che abbiamo davvero voglia di tornare nel “mondo reale”? Nella Silicon Valley, in California, si utilizza il termine "friction" (attrito) per rappresentare qualsiasi barriera fisica o psicologica che potrebbe impedire a un potenziale acquirente di acquistare o utilizzare un bene o un servizio. Eliminare quell'attrito, attraverso la tecnologia, è quindi diventato il decantato modello di business, sia delle startup di successo che dei marchi affermati. Le aziende, in questi ultimi anni, si sono basate sul fatto che uscire di casa è una fatica eccessiva, della quale possiamo volentieri fare a meno. Hanno quindi cercato di rimuovere la “friction”, facendo leva sul fatto che noi esseri umani siamo programmati per preservare le nostre risorse fisiche, biologiche e cognitive, per non parlare del nostro tempo, che è tristemente limitato. In effetti, interagire con altre persone e cercare di comprendere i loro messaggi verbali e non verbali stratificati è una delle cose più complicate che chiediamo al nostro cervello di fare. Tuttavia, mentre le app e i dispositivi che riducono o eliminano quel particolare tipo di attrito possono sembrare incredibilmente allettanti, la ricerca indica che una serie di interazioni sociali, comprese quelle con estranei o conoscenti vaghi sono fondamentali sia per la nostra salute fisica che emotiva. Alcuni ricercatori hanno scoperto che siamo dotati di sistemi di ricompensa neurali e biochimici che ci lasciano soggettivamente più felici dopo esserci connessi con gli altri, anche se è solo un sorriso amichevole, un cenno del capo o un allegro "Buongiorno!".
Questione di “tocco”
E siamo arrivati all’ultimo composto di parole americano: “human-touch” (tocco umano). Se vogliamo che i clienti tornino nei negozi (e fidatevi che lo stanno già facendo), dobbiamo dargli un essere umano con cui parlare. La gente si è stufata di centralini telefonici con risponditori automatici (o peggio, con operatori lontani migliaia di chilometri), di chat automatizzate e di e-mail alle quali, se va bene, riceveranno risposte preconfezionate. I consumatori ci stanno chiedendo a gran voce “datemi un essere umano con cui parlare!” I clienti hanno nostalgia delle esperienze di shopping nei negozi fisici e vogliono riassaporare l’esperienza d’acquisto che contenga un rapporto umano. I nostri negozi hanno personale preparato e motivato ad accoglierli? Ma, soprattutto, hanno personale? Non basta mettere un manichino sorridente in punto vendita, serve una persona in carne e ossa pronta ad aiutare e a rispondere alle domande più strampalate. I clienti vogliono sentirsi coccolati e serviti come degli autentici re o regine dello shopping, perché hanno “resettato” le brutte esperienze trascorse in passato con gli acquisti in negozio. Ora cercano solo di divincolarsi dalla ragnatela tecnologica in cui (li hanno) si sono cacciati. (g.m.)