Ormai diamo del “tu” a tutti. Sembra scontato, ma è giusto usare la seconda persona singolare, al posto della terza, anche nel nostro lavoro? Dare del “lei” al nostro caposettore o al direttore è ormai considerato cosa d’altri tempi, quasi come il “voi” dei nostri nonni. Lo stesso è per i clienti: capita di darsi del “tu” quando si instaura un buon rapporto durante la vendita. La colpa è – forse – dell’interferenza che ha costantemente la lingua inglese nella nostra. Lo “you” inglese va dato a tutti, indipendentemente dall’incarico e dall’età.
A dispiacersi dell’abbandono del “lei” sono soprattutto i nostalgici delle buone maniere, e io confesso di farne parte. Tanto che avevo particolarmente apprezzato il tono con cui Macron, il presidente della repubblica francese, aveva rimproverato uno studente che si era rivolto a lui chiamandolo “Manu”. “Qui siamo ad una cerimonia ufficiale e ti comporti bene, mi puoi chiamare Signor Presidente o signore”, l’aveva bacchettato.
Il luogo di lavoro non gode della stessa formalità di una cerimonia presidenziale, ovviamente, ma è comunque una situazione formale nella quale bisogna rispettare il gioco dei ruoli. Oggi risulterebbe anacronistico darsi del lei, anzi, la cosa stonerebbe talmente da far credere che si voglia mantenere forzatamente un certo distacco. Il che andrebbe sicuramente a discapito dei rapporti interpersonali.
Tuttavia io credo che ci sia un “lei virtuale” che ognuno di noi deve tenere bene a mente quando si rivolge ad un superiore. Altrimenti si diventa tutti amici di vecchia data, e si sconfina nella totale informalità. Cedere alla tentazione di dare troppa confidenza a capisettore, direttore o coordinatori d’area, spesso lascia spazio a fraintendimenti. Quando si è sul posto di lavoro e si ricoprono cariche gerarchiche diverse non si è mai amici, si può essere al limite buoni collaboratori.
Ho conosciuto responsabili a cui davo volentieri del “tu”, anche se non avrei avuto problemi ad usare il “lei” per il rispetto che avevo nei loro confronti; ci sono stati alcuni casi in cui ho dato del “lei” a persone che non avrebbero meritato nemmeno il “tu”. L’importante è conservare una formalità interiore. Bisogna sempre tenere presente con chi stiamo parlando, e cosa possiamo – o non possiamo – dire.
Con i clienti il discorso non è molto diverso. Io tendo a dare del “tu” a chi vedo più giovane di me, o al limite coetaneo. Anche se a volte mi capita di condurre l’intera trattativa dando del “lei” a ragazzi vestiti in giacca e cravatta. La formalità dell’abito mi spinge ad essere formale nel linguaggio. Ci sono dei casi in cui dopo un paio di frasi do del “tu” a persone anziane, perché vedo che lo gradiscono e sono loro stessi a chiedermelo, altre volte - invece – proprio non ci riesco.
Non ho una regola ben precisa con i clienti. Se dovessi scrivere la formula del “galateo dei commessi” probabilmente direi che il “lei” va usato sempre in fase iniziale, e bisognerebbe sempre chiedere “possiamo darci del tu?” prima di lasciarsi andare.
Diciamo anche che il “lei” ha ormai una connotazione negativa: quando lo ricevi significa che sei vecchio, quando lo dai potrebbe essere interpretato come una richiesta di distacco, una voluta mancanza di intimità. In ogni caso, a me piace sempre pensare a quel “lei” virtuale che mi consente di mantenere un certo distacco anche se ci diamo del “tu”, ma lo stesso rispetto di quando ci davamo del “lei”. (Nathan)
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Nathan è uno pseudonimo dietro il quale si cela l’addetto vendita di una grande catena con diversi anni di esperienza.
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