Derivante dal gergo ippico, l’espressione “corto muso” è stata sdoganata qualche anno fa dall’allenatore di calcio Massimiliano Allegri quando, durante una conferenza stampa, volle sottolineare che alla fine ciò che conta non è con quanti punti di distacco dalla seconda si possa vincere un campionato giacché ne basta uno solo. Da allora tutto ciò che appare come un comportamento conservativo, che tenda ad assicurare la mera sopravvivenza insomma, viene etichettato come visione a “corto muso”.
Verso la crescita zero
Il recente report datato luglio 2023 del Fondo Monetario Internazionale sottolinea come il nostro Paese stia piano piano tornando verso la crescita zero. Nel 2024 il PIL dovrebbe attestarsi allo 0,9% rispetto all’attuale 1,9%. Dopo lo shock pandemico e i fondi messi a disposizione dalle varie istituzioni, il passo del gambero ha preso vigore, proprio come quando tiri un elastico e lasciando l’estremità questa ritorna esattamente al suo punto di origine. Siamo entrati sicuramente in una fase conservativa, si susseguono notizie di brand e operatori del retail che riducono il fatturato e ove possibile provano a salvaguardare la redditività attraverso il classico strumento del taglio dei costi. Di segnali di un ritorno al passato ce ne sono. Nei negozi il personale di vendita si dimostra più preoccupato di gestire il prezzo o il volantino; il merchandiser riprende a essere una figura imprescindibile e ambassador non si sa di cosa, visto che venditore e funzionario del brand parlano due lingue differenti; il retail assume le sembianze di un immobiliarista intento produrre flusso di cassa più attraverso il classico affitto del lineare piuttosto che con la vendita di valore..
Ci si aspettava qualcosa di più
A livello di customer experience ci si aspettava qualcosa in più; la fine della pandemia avrebbe dovuto esercitare un cambio importante nell’approccio al cliente. Dal punto di vista digitale sicuramente c’è una consapevolezza dell’imprescindibilità di questo strumento: sale dal quarto al terzo posto in ordine di importanza la scelta del prodotto basata sulle recensioni degli altri clienti (Report eCommerce Casaleggio Associati). Dal punto di vista del negozio fisico è palpabile a mio avviso la staticità del rapporto brand-distribuzione sul piano strategico. Nei negozi, tranne le iniziative del retail di prossimità, si respira una certa calma piatta e dunque la relazione tra industria e distribuzione non sembra dare segni di miglioramento: da una parte alcuni marchi hanno iniziato a bypassare il distributore, dall’altra quest’ultimo ha iniziato a fare il brand acquisendo in esclusiva marchi storici nel mondo dell’elettronica. Questo atteggiamento mette in luce proprio la ricerca della sopravvivenza in pieno accordo con la visione a “corto muso”. Sia chiaro: non è detto che la rincorsa a fare il brand da parte della distribuzione non possa rivelarsi la strada giusta da percorrere: negli USA il valore delle vendite delle cosiddette private lable della distribuzione tra il 2021-2022 è aumentato del 10,8%; nel nostro Paese, nello stesso periodo di riferimento, è aumentato del 9,8%. C’è da fare una precisazione. Mentre nel food questo porta a un consolidamento del rapporto tra industria e GDO visto che i prodotti privati sono creati proprio dall’industria, in altri settori - vedi guarda caso l’elettronica - il più delle volte i beni sono d’importazione diretta da fabbriche asiatiche, che producono per più marchi. Ecco allora che si genera una concorrenza interna che spinge gli operatori del mercato (industria e retail) ad allontanarsi anziché operare un avvicinamento di intenti.
L’esperienza di Tesla
Per questo motivo sono da sempre fautore di un modello distributivo di nuova concezione, che tenga conto da una parte della necessità dell’industria di arrivare al cliente senza dover banalizzare l’innovazione e dall’altro permettere al retail di essere sostenibile in un mercato digitale spinto. Abbiamo capito che sottocosti e premi di fine anno a due cifre non vanno d’accordo con la crescita, soprattutto nei prodotti a largo consumo. E la dose periodica di bonus pubblici non fa altro che alimentare questo processo distruttivo di ricchezza. Del resto la concentrazione produttiva ha bisogno di volumi importanti per ottenere certe economie di scala che permettano il 199 euro al pubblico su volantino, volumi che non sempre il mercato riesce ad assorbire. Il professor Claiton Christensen, della Harvard University, predicava che “se quel modello non ti da più reddito forse è preferibile passare ad un altro, invece di aggiustare quello che stiamo utilizzando”: Tesla sapeva che il sistema del retail tradizionale dell’automobile comportava determinati investimenti e costi di gestione, ecco perché ha preferito gestire l’ingaggio del cliente in modo diverso tanto da diventare in Europa, nel primo trimestre di quest’anno, l’auto più venduta in Europa.
Il consumatore vince. In apparenza
Qualcuno potrebbe obiettare che l’avanzare del commercio elettronico sia il freno ad una riforma strutturale del mercato, in fondo i portali di e-commerce hanno bisogno di marginalità contenute per poter operare, quindi se si vuole competere occorre adeguarsi soprattutto dal lato del prezzo. Vero parzialmente: ad esempio, Ollo Store (portale Toscano) è impostato sulla strategia della redditività piuttosto che su quella del flusso finanziario, e non a caso è stato premiato da Statista come miglior sito italiano di e-commerce 2022 e secondo dietro solo a Huawei nel 2023. C’è quindi una differenza di comportamento strategico tra chi ha approfittato per rimettere in discussione il proprio modello e chi invece ha continuato a giocare di corto muso, accumulando vendite nel biennio pandemico senza pensare che ove la propria struttura fosse rimasta uguale, prima o poi si sarebbe tornati all’antico. In tutto questo c’è un apparente vincitore, vale a dire il consumatore, sempre pronto a cogliere l’offerta del giorno. Apparente, perché se è vero che valori come sostenibilità ambientale e recupero materiali sono per il consumatore fondamentali, bruciare ricchezza non farà altro che rallentare questi processi di evoluzione da parte della filiera, con buona pace dei cambiamenti climatici o dell’impoverimento delle risorse. E’ vero che concetti come “buy less, buy better” o “less is more” sono più da cliente anglosassone che mediterraneo, ma è anche vero che abbiamo sempre privilegiato di servire al consumatore “portate” a base di prezzo scontato. E il corto muso ha trionfato.
Luigi Del Giacco
Esperto di Change Management
Docente Bianco & Bruno Academy