L’altra notte per addormentarmi, anziché le consuete pecorelle, ho iniziato a contare i clienti. Quanti clienti serviamo nella nostra vita da commessi? Il calcolo è stato talmente sorprendente che ho continuato a pormi questa domanda anche la mattina seguente. Sì, lo so, non sono normale, ma forse nessuno di noi lo è più, data la moltitudine di persone che vediamo ogni giorno.
L’operazione matematica, iniziata per mero divertimento mentre mi gettavo tra le braccia di Morfeo, considerava inizialmente una media di 5 consumatori al giorno, per 26 giorni lavorativi al mese, per 12 mesi, moltiplicati per l’anzianità lavorativa. Ho preso sonno pensando: “Ma che cavolo di calcoli sto facendo…”. Poi però al risveglio quelle considerazioni non mi avevano abbandonato; anzi, ero affascinato dall’idea di realizzare un risultato quanto più possibile verosimile di quante persone avessi incontrato, quante ne avessi ascoltato, con quante avessi parlato e quante “soluzioni” avessi offerto nella mia vita lavorativa.
Anche se non ho numeri alla mano (e dopo tutti questi congiuntivi), non scopro l’acqua calda dicendo che una volta i clienti erano sicuramente di più. Ricordo (non con molto piacere, a dirla tutta) quelle giornate in cui eravamo letteralmente invasi dai consumatori, tanto che l’aria in negozio diventava quasi irrespirabile. Il Covid era ancora lontano nel futuro, per cui era lecito alitarsi in faccia senza problemi (salvo poi scoprire che qualche starnuto di troppo ci aveva messo KO). Certe domeniche passavo ore ed ore a parlare, bevevo due litri di acqua per schiarirmi la voce e, per fortuna, potevo ancora andare a prendere un caffè o fumare una sigaretta perché non ero da solo in reparto. Ma anche quando eravamo alla “massima potenza di fuoco”, alcune volte persino una decina di addetti vendita in un settore, eravamo sempre in assoluta minoranza in confronto alle centinaia di persone che servivamo in un giorno.
Tornando al mio calcolo per scopi puramente intellettuali, posso stimare che, in quasi trent’anni di carriera a contatto con il pubblico, ho seguito circa 50 mila persone. Un piccolo paese. Anzi una cittadina. È come se avessi servito tutti gli abitanti di Rho o di Siena o di Acireale. Anziani e bambini compresi. Non sono molti i mestieri in cui si ha modo di vedere tutta quella gente. Sarà per quello che molti di noi commessi ormai hanno una specie di sesto senso sviluppato che ci permette di comprendere al volo il carattere della persona che abbiamo di fronte. Almeno così pensiamo.
Tra tutte le persone che ho servito, alcune mi sono rimaste più impresse di altre. Ricordo teneramente una signora moldava che aveva rotto il cellulare ed era disperata perché sua figlia stava partorendo e doveva chiamare i parenti per avere novità. Un papà con una bambina che cercava un televisore portatile da portare alla mamma in ospedale, ricoverata per un tumore. Una famiglia che cercava una serie di elettrodomestici per allestire una casa in cui avrebbe ospitato dei profughi ucraini. Tutti questi casi “alla Maria De Filippi” mi sono rimasti molto impressi perché mi sono particolarmente prodigato per aiutare queste persone in difficoltà, mettendo da parte la frenesia tipica del nostro mestiere. L’umanità di queste persone ha il potere di farti svegliare improvvisamente dal torpore in cui tutti noi ci assopiamo per sopportare il tran tran quotidiano.
Per fortuna, ci sono stati anche casi divertenti o personaggi famosi incontrati per caso. Una volta, ad esempio, una famiglia ha offerto il pranzo a me e a un collega perché ci eravamo fatti carico personalmente della difficile consegna di una lavatrice in una località di montagna. Un giorno non ho riconosciuto un calciatore milionario e gli ho proposto di dilazionare il pagamento della Playstation con un finanziamento. Una volta Michelle Hunziker mi ha sorriso!
Chissà quanti di loro si ricorderanno del commesso che li ha seguiti. Di sicuro non la Hunziker. Però mi piace pensare che qualche volta ho lasciato il segno. Come quando incontro quelle persone che mi lasciano qualcosa, anche soltanto un modo di fare o un’espressione che io corro subito a riferire al collega-amico per farci due risate, potrebbe essere che anche loro si ricordino di me per un sorriso o un consiglio.
A tutte queste cose ho pensato l’altro giorno. E anche se non è nulla di che, volevo condividerle con voi. Perché alla fine il nostro mestiere non è poi così tanto male. (nathan)
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