Ancora di recente, a margine dell’incontro tra un’azienda di piccoli elettrodomestici e la sua forza vendita cui eravamo stati invitati a parlare, uno degli agenti ci ha sollecitato a scrivere “qualcosa in difesa della nostra categoria”. Quasi sempre (quasi, eh!) dire la verità si rivela la medicina migliore. Altrimenti ci si illude, si perde tempo e si deraglia, sbagliando l’obiettivo. E nel caso degli agenti qual è la verità (la nostra, s’intende)? Che il metodo di lavoro vecchio stampo, legato esclusivamente alla firma dell’ordine, si sta rivelando con velocità crescente sempre meno efficace per curare gli interessi dell’azienda rappresentata dall’agente. Perché i clienti dell’azienda sono sempre di meno mentre aumentano in modo esponenziale le sue esigenze di presidio dei punti vendita. Pertanto l’agente o fa finta di non vedere l’evoluzione del mercato, e alla fine si troverà tra le mani un numero di clienti della sua azienda talmente risicato che i suoi costi si riveleranno insostenibili. Oppure comprende la necessità di controllare quanto accade nei negozi e diventa strumento per la risoluzione dei problemi che possano riguardare i suoi marchi. Problemi espositivi, di comunicazione, di cultura da parte di chi vende ai consumatori, in generale di merchandising. Problemi molto più frequenti di quanto si possa immaginare. Questo è il terreno di sfida della “nuova” figura dell’agente. Sappiamo bene che alcune aziende hanno sostituito questa figura con altri collaboratori, i merchandiser appunto. Ma siamo convinti che esista un numero di marchi che ben difficilmente vorrebbero privarsi dei loro agenti, molto spesso persone di esperienza, con rapporti molto stretti con il trade e ben conoscitori del mercato, per affidarsi a organizzazioni da formare totalmente e prive di contatti nei punti vendita. Quando parliamo di contatti, non ci riferiamo al buyer dell’insegna bensì agli store manager, agli addetti, a quel personale cioè che ha bisogno come il pane di conoscere meglio ciò che vende.