Burnout è uno di quei termini che comincia a fare capolino con una certa insistenza non tanto nelle riviste mediche, dove è di casa, bensì nella stampa cosiddetta generalista. E comincia a diffondersi proprio perché non viene più associato soltanto ai lavoratori di ambito sanitario, sottoposti a forte stress a causa del carico lavorativo e delle interazioni sociali spesso molto difficoltose. Ecco perché abbiamo coinvolto la dottoressa Beatrice Casoni, medico psichiatra e direttore sanitario del centro Clinico neurocare di Bologna.
Dottoressa Casoni, diamo le coordinate. Cosa si intende, oggi, con il termine burnout?
“Intanto il burnout attiene l’esaurimento emotivo a cui si possono associare sintomi depressivi, ansiosi e insonnia. Inizialmente riguardante gli sportivi che, dopo alcuni successi, non erano in grado di mantenerli o ottenerne altri, e successivamente esteso alle professioni sanitarie, da alcuni anni il termine bornout si sta allargando a tutte le professioni che prevedono implicazioni relazionali molto accentuate e richieste sempre più pressanti di risultati che l'ambiente lavorativo richiede. Possiamo, quindi, comprendere come sia adeguato parlare di burnout anche per i manager: in pratica, tutto ciò che in alcuni casi costoro possono mettere in atto per contrastare le condizioni di stress lavorativo determinato da uno squilibrio tra richieste/esigenze lavorative e risorse disponibili. Stiamo parlando di deterioramento progressivo dell’impegno nei confronti del lavoro che può diventare sgradevole e demotivante, nonché di deterioramento delle emozioni con manifestazioni di rabbia, ansia e depressione. E’ facile comprendere come tutto questo possa creare sofferenza nell'individuo che lo sperimenta e risulti dannoso anche per l'azienda che ha investito tempo e risorse economiche per la formazione del manager ritrovandosi a non poter più contare sul suo lavoro e, in alcuni casi, a doverlo sostituire”.
Come si può intervenire, allora?
"Fondamentale è un intervento precoce con l'aiuto di un professionista della salute psicologica che possa individuare e di conseguenza trattare la sindrome da burnout. Per esempio, neurocare propone per le aziende e i lavoratori percorsi di diagnosi e cura personalizzati che prevedono una valutazione con specialisti psichiatri e psicoterapeuti, l'analisi di eventuali disturbi del sonno e della sfera cognitiva e un colloquio con un business coach che possa aiutare il professionista ad individuare le aree lavorative che maggiormente sono implicate nel processo di esaurimento emotivo. In seguito si individua il trattamento più adeguato. Noi ci occupiamo di terapie convenzionali come psicoterapie e psicofarmacologia, ma anche di neuromodulazione”.
Cos'è la neuromodulazione?
“Si tratta di una forma di stimolazione cerebrale più o meno focalizzata, e direzionabile oltre che reversibile, in grado di modificare il modo in cui i neuroni comunicano tra loro e di conseguenza modificare il comportamento umano sostenuto da quei neuroni. Le tecniche di neuromodulazione non invasiva e non dolorosa che noi applichiamo sono la stimolazione magnetica trascranica, la stimolazione elettrica a corrente alternata e il neurofeedback”.
Senza esagerare con i tecnicismi, dottoressa, in pratica di cosa si tratta?
“La stimolazione magnetica trascranica e la stimolazione elettrica a corrente alternata vengono utilizzate per stimolare il tessuto cerebrale attraverso una bobina o elettrodi applicati al cuoio capelluto al fine di intervenire sui sistemi neuronali che stanno alla base di un determinato disturbo. Il neurofeedback è un ‘allenamento cerebrale’ che viene effettuato attraverso alcuni esercizi proposti da un software sulla base della registrazione dell'attività cerebrale del paziente realizzata grazie a un elettroencefalogramma. Con l'uso del neurofeedback il paziente impara a modulare le proprie onde cerebrali per la risoluzione del disagio che la loro alterazione può determinare”.