Tanti anni fa, quando ancora ci si collegava ad Internet col modem 56K, rimasi colpito da un termine coniato negli USA: prosumer. Il vocabolo è una sincrasi di producer e consumer e in quell’occasione veniva utilizzato per indicare i primi creatori di video su YouTube, quando gli Youtubers non erano ancora nati. I prosumer sono al tempo stesso produttori (producer) e consumatori (consumer).
Anche noi, dipendenti di un negozio di elettronica, siamo al tempo stesso produttori di ricchezza dell’azienda, contribuendo alla creazione di fatturato e margine, ma anche consumatori, quando acquistiamo un prodotto in negozio. Siamo prosumer, e come tali generiamo un valore che spesso non viene considerato.
Ora non voglio attaccare con la solita filippica su quanto le risorse umane siano considerate un costo più che un valore. Restiamo più terra terra: spesso e volentieri io sono “costretto” ad acquistare dalla concorrenza più che dalla mia insegna, per il semplice motivo che devo fare i conti del buon padre di famiglia.
Diciamoci la verità: non abbiamo mai goduto di grossi benefit, ma quando ci si trova nella condizione di dover cambiare la lavatrice, il televisore o il cellulare ognuno di noi lascia in un angolo la cieca fedeltà alla maglia che porta, per fare i conti con il proprio portafoglio. E se l’insegna tal-dei-tali sta facendo un’ottima offerta nel momento del bisogno, sono in pochi quelli che preferirebbero pagare di più pur di rimanere devoti all’azienda per cui lavorano. Anche perché, parlo per la mia realtà, le scontistiche riservate ai dipendenti non rappresentano proprio quell’irresistibile canto delle sirene. A volte si riducono a pochi punti percentuali, per ottenere i quali bisogna spesso chiedere il nullaosta di caposettore, direttore e di tutto il cucuzzaro. Sinceramente, quando la differenza tra il prezzo pieno e quello riservato ai dipendenti è di pochi euro, pago qualcosa in più evitando per principio di correre a destra e a manca per elemosinare un’autorizzazione.
Purtroppo, persi come sono nell’inseguire i clienti con offerte strepitose, sembra che i nostri dirigenti si siano dimenticati di avere una forte base di consumatori anche all’interno delle proprie fila. La mia idea è che si potrebbe pensare ad una tessera fedeltà per dipendenti, con una raccolta punti che genera un valore ben più alto di quella riservata ai clienti, oppure uno sconto generico, che valga su tutto. So cosa state pensando: “Con tutti i volantini e le offerte che facciamo non sarebbe possibile pensare a un tipo di sconto “flat” per i collaboratori, anche solo del 10%, dato che finirebbe per essere usato su articoli con margine inesistente (o negativo) per conoscenti, amici e parenti”. A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina.
Forse è (anche) per questo che alle aziende non interessa istituire una forma di incentivo all’acquisto per i dipendenti, preferendo mantenere separate le due identità di produttore e consumatore. D’altronde, ce ne accorgiamo nel momento in cui vogliamo trasformarci da commessi a clienti nel nostro stesso negozio. Vi sarà capitato di certo: dopo aver tolto la divisa e timbrato, vi recate nel reparto dal vostro collega da cui sperate di ricevere un trattamento di riguardo, che vi illustri il prodotto che avete bisogno di comprendere e apprezzare, prima dell’acquisto. E invece venite trattati con sufficienza, quasi foste un intruso tra un cliente e l’altro: siete solo colleghi, dopotutto.
Una volta me la prendevo per queste cose, come mi irritava il fatto di sentire persone che lavoravano al mio fianco vantarsi del fatto di aver comprato questo o quel prodotto dalla concorrenza e di avere risparmiato, rispetto al nostro punto vendita. Senza dimenticare i danni di chi poi racconta a parenti e amici di aver “tradito” il proprio negozio. Poi ci ho fatto il callo, ma morirà per ultima la speranza che prima o poi qualcuno si accorga che noi addetti vendita potremmo generare una piccola ricchezza, non solo lavorando.
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