Giovedì, 18 Febbraio 2021 12:57

Le bugie al colloquio di lavoro

Quanto è bene essere sinceri ad una selezione del personale e quanto è meglio, invece, condire la propria presentazione con esperienze che non ci appartengono?

Quanto è bene essere sinceri ad una selezione del personale e quanto è meglio, invece, condire la propria presentazione con esperienze che non ci appartengono?

A sentire alcuni studiosi, ormai i colloqui di lavoro sono diventati un esercizio di inganno. Robert Feldman, professore di psicologia all'Università del Massachusetts, dice che la nostra mente è allenata alle “bugie bianche” fin da quando eravamo piccoli e mentivamo per nascondere le nostre marachelle.

La stessa idea che qualcuno debba parlare di sé per ottenere una retribuzione "è una situazione pensata per incoraggiare la menzogna", dice Feldman. Questo gli intervistatori lo sanno bene, mettendo in conto che il candidato racconti qualche bugia ancor prima della stretta di mano iniziale. "Fa parte dell'essere una persona ben socializzata usare le bugie per far sentire gli altri bene con sé stessi e per presentarsi in modo efficace”, ribadisce lo studioso.

Il primo grande inganno che cerchiamo di mettere in piedi è l’atto dell’ingraziarsi, afferma Nicolas Roulin, professore dell’Università di Halifax. "Si tratta davvero di tentare di trovare una connessione con l'intervistatore e apparirgli più simpatico", dice. Fin qui nulla di serio, a patto di non esagerare fingendo di avere gusti e opinioni identiche al selezionatore.

Un’altra grande bugia che raccontiamo è la risposta alla domanda: “Perché vorresti lavorare con noi?”. Spesso fingiamo di nutrire un profondo interesse nell’azienda selezionatrice, cercando di mascherare i reali motivi per cui intendiamo abbandonare il nostro attuale posto di lavoro: qualche screzio con i superiori, turni pesanti, retribuzione insufficiente. Ammettere queste cose è come confessare di avere bisogno di uno stipendio.
I candidati dicono due o tre bugie, in media, ogni 10-15 minuti di intervista, secondo la ricerca del dottor Feldman. Spesso cerchiamo di eludere la discussione sugli inestetismi del nostro curriculum, dai brutti voti ai periodi di disoccupazione. A volte incolpiamo qualcun altro del fallimento, meno sovente inventiamo esperienze di sana pianta. Secondo uno studio condotto dal dott. Roulin, circa l’80% delle persone abbellisce semplicemente alcune esperienze mentre il 20% delle persone crea ad arte interi paragrafi del curriculum, come ad esempio la laurea.

I recruiters conoscono bene queste realtà, ecco perché cercano sempre di scremare quanto viene raccontato in sede di colloquio, tentando di essere obiettivi e usando tecniche per mettere in discussione le probabili menzogne. Così facendo fanno crollare spesso i castelli di carta costruiti dai candidati.

Il candidato, d’altro canto, sa bene di essere in competizione con altri che mentiranno sui loro insuccessi enfatizzando le vittorie con qualche piccolo artificio. Quindi per quale motivo dovrebbe essere sincero, dato che sa di trovarsi di fronte qualcuno che cercherà costantemente di togliere la tara dal suo peso lordo?

Spesso poi c'è una sorta di cospirazione in corso tra il bugiardo e la persona a cui viene mentito: entrambi desiderano che la bugia sia vera. Se il recruiter ha fame di qualcuno che parli spagnolo, ad esempio, sarà tentato di inserire nella lista dei favoriti anche chi ha una conoscenza superficiale della lingua.

Sarebbe bello che le aziende si basassero su come realmente lavoriamo quando siamo sul campo e non ci sentiamo sotto osservazione, in una sorta di “Boss in incognito”. Purtroppo, il momento del colloquio è considerato ancora la più importante forma di contatto tra le ditte e i candidati. Quindi è giusto arrivare preparati, anche con qualche “bugia bianca” in tasca, ma senza esagerare, per non finire in un ruolo per il quale non siamo adatti. Altrimenti potremmo essere infelici con il nostro nuovo lavoro o potrebbero essere messe in dubbio ben presto le nostre prestazioni. Per evitare un rapido insuccesso, rischieremmo di avere una sconfitta a lungo termine. (g.m.)