L'ondata di acquisti online alimentati dalla pandemia ha creato una nuova urgenza che in realtà tocca un problema vecchio di decenni: i resi. Siamo sempre più portati a fare “click” sul sito del commerciante, ma cosa succede quando il prodotto che ci arriva a casa non è proprio come ce lo aspettavamo o è difettoso? Semplice: c’è il reso gratuito.
Negli USA, per gestire la grande mole di “rifiutati”, aziende come Walmart e Amazon hanno iniziato una pratica curiosa: dicono ai propri clienti di tenersi il prodotto che vogliono rendere, mentre spediscono il sostituto. Quello che potrebbe essere visto come un enorme atto di generosità, tuttavia, nasconde una dolorosa realtà economica dell’e-commerce: 30 acquisti su 100 vengono resi. Un rapporto tre volte superiore a quello dei negozi fisici, a parere dei dirigenti del settore. [fonte WSJ]
Secondo Oliver Lange, che gestisce il comparto innovazione di H&M, i numeri dell’online non torneranno mai più ai livelli pre-pandemia. In un recente sondaggio condotto dalla società tecnologica Pitney Bowes, il 42% dei consumatori ha dichiarato di voler continuare questo trend una volta terminata l’emergenza.
Il numero di pacchetti di e-commerce restituiti nel 2020 è aumentato del 70% dal 2019, secondo Narvar Inc., che elabora i resi al dettaglio. A gonfiare di molto il dato è il mercato dell’abbigliamento, nel quale il consumatore (rassicurato dal reso gratuito) ordina più taglie dello stesso prodotto, sapendo che potrà restituire quello che non calza a pennello. Nel mercato dell’elettronica, invece, vediamo amplificati enormemente i problemi di quando non ci si trova fisicamente di fronte al prodotto. Non potendo prendere bene le misure, provare le prestazioni o chiedere un consiglio al venditore, l’acquisto errato è sempre in agguato. Per non parlare dei casi di difettosità, che sono gli stessi del negozio fisico, o dei prodotti arrivati danneggiati, cosa che ovviamente capita con frequenza maggiore rispetto al punto vendita.
Per tentare di arginare i resi, le grandi catene stanno cercando di analizzare nel dettaglio i motivi che spingono i clienti a restituire l’acquisto, ma il 90% di loro non fornisce alcuna motivazione alla restituzione. Addirittura si utilizzano dei software che tentano di stanare i “mittenti seriali”, quelli cioè che abusano della possibilità di rendere gratuitamente la merce per provare il prodotto a casa e restituirlo dopo l’utilizzo.
I prodotti che tornano al distributore rappresentano un costo enorme: bisogna pagare il corriere per il rientro, verificare che il prodotto sia funzionante e non danneggiato, imballarlo nuovamente e infine svenderlo sulla sezione outlet del sito, dove si trovano i prodotti ricondizionati. Senza contare l’impronta ecologica che tutto questo ha sull’ambiente.
Ecco, quindi, che torna utile non essere un pure player online, ma avere anche una rete di negozi fisici nei quali dirottare i clienti insoddisfatti. Essendo ormai aperti anche nelle zone rosse, abbiamo la possibilità di venire incontro al cliente 7 giorni su 7 (cinque, per i punti vendita che si trovano nei centri commerciali). Il consumatore viene già quotidianamente nei negozi con l’acquisto da rendere per un regalo errato, perché è difettoso o per altri svariati motivi che noi, essendo “in presenza”, possiamo analizzare per fornire una soluzione diversa al cliente alla quale magari nemmeno lui aveva pensato. Senza contare che la sostituzione immediata è una comodità che non offre nemmeno Amazon.
La consulenza nel post-vendita, se fatta bene, può convertire un “compratore seriale on-line” fidelizzandolo come consumatore fisico. Anche perché, diciamocelo, spesso la grande comodità dell’acquisto a distanza viene vanificata dai disagi del reso. (g.m.)