Domenica, 16 Ottobre 2022 10:55

Retail e capitale umano: il tempo perso si può recuperare

Dare un nuovo senso e valore ai propri dipendenti è una vera opportunità da cogliere in questo momento di grandi cambiamenti e incertezze. Un convegno ci spiega perché ora è necessario.

Quest’anno il Marketing & Retail Summit, organizzato da Mark Up, è stato dedicato all’importanza delle persone - il capitale umano - nel retail. È un argomento insidioso perché, ampio e attuale non certo da oggi, è stato spesso terreno facile per una certa demagogia o un buonismo di facciata a cui nessuno crederebbe più. Qui il tema, sintetizzato nell’ hashtag ‘#HumanRetail’, è stato affrontato con disincanto e pochi giri di parole, qualche autocritica, e con nuovi spunti di riflessione. Hanno dato il loro contributo consulenti come Accenture, e alcuni fra i più rappresentativi esponenti del mondo retail, fra cui Coop, Conad, Federdistribuzione (associazione di categoria), fino ad Amazon. Avrebbe dovuto partecipare anche la distribuzione specializzata con un intervento di Unieuro, saltato all'ultimo momento. Peccato, è rimasta muta la voce di un settore in cui la questione ‘valore delle persone e il loro ruolo nelle organizzazioni’ è motivo di confronto e anche di scontro da tempo, ed è uno dei temi più ‘caldi’ della community di Bianco&Bruno.

Perché bisogna puntare sulle persone

In un momento di grande incertezza e cambiamento "culturale prima che tecnologico e di sistema" per dirlo con le parole di Cristina Lazzati, direttrice di Mark Up e padrona di casa dell’evento, le imprese possono contare principalmente solo sulle persone, ossia i loro dipendenti: il capitale umano. Cosa è cambiato oggi rispetto al passato, quando si faceva spesso questa affermazione e raramente poi la si metteva in pratica? Al netto della crisi, sta cambiando tutto: la trasformazione digitale è ormai un dato di fatto, non più una scelta, le aziende in evoluzione hanno bisogno di persone con competenze in grado di integrarsi e operare con nuovi sistemi di gestione, persone che devono essere formate e motivate al cambiamento se già sono nell’organico aziendale, o che arrivano dal mercato del lavoro, vale a dire un altro settore in radicale metamorfosi: entrano i nativi digitali - dai Millennials in poi - che nel loro quotidiano sono abituati a non fare differenza fra online e offline, a frequentare i social e le community virtuali. Persone che mediamente hanno una buona consapevolezza del loro valore e della loro individualità sia come dipendenti che come consumatori. Una consapevolezza che ancora non trova piena accoglienza nelle aziende in trasformazione. Come ha sottolineato Matteo Arata, consulting retail Italy lead di Accenture, la grande sfida per tutte le aziende è essere in grado di integrare dipendenti poco inclini a mediare sulla loro affermazione individuale, in un sistema che invece si è consolidato su una standardizzazione di processi e di competenze. Si insegue il consumatore e il suo desiderio di essere considerato unico, e si sottovaluta il fatto che poi, quello stesso individuo con le stesse esigenze, diventa un dipendente dell’organizzazione. È un corto circuito che ha già prodotto i suoi effetti, se una grande parte dei dipendenti ritiene che le aziende non valorizzano le loro specificità. Oltre a essere poco costruttiva umanamente e socialmente, la condizione di un dipendente insoddisfatto e poco motivato non fa bene al business.

Il futuro del retail 

La digitalizzazione non è più argomento di discussione, né ha più senso fare la differenza fra online e offline. Le analisi di Accenture confermano anche per il futuro un trend già in atto: l’online è un canale efficiente per l’acquisto massivo, mentre il negozio fisico è sempre più un luogo dove il cliente vuole fare un’esperienza, "dove magari il prodotto è limitato, le risorse sono limitate ma è l’esperienza quella che dà valore a questo commercio". Arata specifica come nel nuovo concetto di retail confluisca tutto: location importante ma integrata con l’online; assortimento ampio, anche grazie a moderne supply chain; ma soprattutto il fattore distintivo del contatto umano. La gran parte dei clienti continua a preferire il negozio fisico come momento di esperienza e continua a ritenerlo elemento di grande valore, è un luogo di relazione in cui può succedere che “lo ‘store associate’ (l’addetto vendita) aiuti l’utente a fare il suo primo ordine sull’e-shop dell’insegna. Quanto sono lontani i tempi in cui l’e-commerce veniva additato come la minaccia aliena da cui difendersi. Il processo di trasformazione del sistema include anche la fatica generazionale di un management chiamato a gestire il cambiamento forse senza la necessaria elasticità. Probabilmente, come sostiene Francesco Pugliese, AD di Conad, è il momento di “Inserire capelli neri, molti di più, e tagliare i bianchi, ancora molto presenti nelle aziende. E investire sulle donne, il cui talento e capacità sono sottovalutate. Si tratta di una perdita che non possiamo più permetterci”. Per il sistema retail, questo è il tempo e l’occasione per un riallineamento con i suoi interlocutori, siano essi dipendenti o consumatori (una differenza sempre più sottile), prendendo spunto magari dall’esperienza di altri.

La versione ‘umana’ di Amazon

Secondo Mariangela Marseglia, VP Country Manager Italy and Spain di Amazon, in tempi complessi come questi in cui saltano i processi e le procedure, bisogna reinventare il modo di lavorare. Per questo è importante non tanto come si lavora (processi ) ma perché si lavora, ossia qual è la cultura aziendale. E poi le persone vanno retribuite per quello che portano in azienda: “Paghiamo bene i nostri dipendenti - precisa Marseglia -, cerchiamo di offrire loro una serie di benefit al di sopra degli standard di riferimento e di valorizzare le loro unicità creando un ambiente inclusivo il più possibile”. Nel colosso di Seattle i 17.000 dipendenti hanno età comprese fra i 24 e i 65 anni, con una media di 34. L’azienda ha adottato un modello partecipativo di innovazione: significa che ognuno è libero di proporre la sua idea, il che viene reso possibile se si crea un ambiente in cui i dipendenti si sentono liberi di esprimersi, ognuno con la propria unicità, "perché la diversità crea dialogo". E infine, sempre secondo la manager, paga di più un atteggiamento gentile, anche se “è più difficile essere gentili che intelligenti - afferma -: quando uno è intelligente pensa di avere un po’ la chiave di tutto. Invece ho imparato che la combinazione di gentilezza e intelligenza è vincente, non è un cambiamento da poco per un’azienda che nasce con un’anima nerd, fondata da persone molto dotate di intelligenza razionale, ma meno di intelligenza emotiva”. L’obiettivo della leadership gentile di Marseglia è creare un alto livello di coinvolgimento con i dipendenti, specialmente con le nuove generazioni. “Persone in genere molto qualificate - precisa - che sanno di valere tanto e vogliono lavorare per aziende che sappiano ascoltare quello che hanno da dire, e non solo sfruttare le loro competenze”.

Ora, dire che il capitale umano salverà le sorti del retail è una affermazione incompleta, la sfida che attende il sistema distributivo - e tutti noi - richiede molto altro, e di sicuro coraggio. Però questa è davvero l’occasione per "recuperare il tempo perduto". Il senso di una visita in negozio di un cliente dipende principalmente dalla qualità della sua esperienza, e in prima linea in questa relazione ci sono i dipendenti, inevitabilmente condizionati da come vengono gestiti in azienda: se sono formati adeguatamente, se sono valorizzati per quello che fanno, se sono retribuiti giustamente. È un errore pensare che le tecnologia possa essere la soluzione di tutto, possa rimpiazzare dinamiche relazionali che, invece, devono rimanere ‘umane’ per essere efficaci. In un tale contesto il capitale umano diventa un fattore competitivo che non si può più ignorare, specialmente in un momento di crisi. Anche per questo, forse, sarà la volta buona. (l.c.)