Lunedì, 21 Gennaio 2019 17:52

Nello spot tv si investe male. E si vede.

Si cerca di catturare l’attenzione di uno spettatore sempre più distratto ricorrendo a cliché che non funzionavano nemmeno quando bisognava alzarsi dal divano per cambiare canale. E a restarci in testa sono solo i pacchi parlanti di Amazon...

Anno Domini 2019, spot di una nota app di consegne a domicilio: la mamma rimane fuori a cena con le amiche e il papà commenta la bella vita della coniuge, per poi fare l’occhiolino ai figli e comprare loro la cena con smartphone, carta di credito e maschio potere d’acquisto. Dopo qualche giorno è il papà a restare fuori per cena. Nessuno commenta, ma appena la mamma prova a ordinare la cena col telefono si capisce che è chiaramente un’analfabeta tecnologico-digitale, come ogni donna sembra suggerire lo spot. In tutto questo ci sono due ventenni imbruttiti sul divano, che aspettano si predigerisca loro il pasto come uccellini implumi. 

Superpapà contro Mammasaura, dopo anni di lotte per la parità. Nessun riferimento a coppie di fatto o altri recenti progressi dal punto di vista sociale. Ma a rendere ancor più grottesca la réclame è il fatto che a commissionarla sia un servizio online relativamente giovane, da cui non ci si aspetta certo l’immagine di famiglia che sarebbe forse andata bene ai tempi della tv di Stato.

Ultimamente si vedono tante pubblicità che, come questa, non vanno in nessuna direzione. Cercando di catturare l’attenzione di uno spettatore sempre più distratto con riferimenti a cliché che non funzionavano nemmeno quando bisognava alzarsi dal divano per cambiare canale. E dire che il mondo della comunicazione commerciale è sempre stato una forma di espressione che ha fatto parlare di sé. Sembra quasi che questo messaggio abbia perso di forza col passare del tempo, cedendo l’arma dell’irriverenza per raccogliere quella dell’indifferenza.

Evidentemente in un tempo in cui il web ha ucciso le stelle della tv non si investe più tanto sul piccolo schermo. Considerati i mille intrattenimenti domestici ai quali abbiamo accesso oggi, rispetto a vent’anni fa. Video on demand, serie televisive in streaming, web series, binge watching. Termini che sarebbero stati ostrogoto fino a qualche lustro fa, ma che adesso fanno parte del nostro modo di parlare e di vivere. Che senso ha, quindi, creare un messaggio pubblicitario degno di tale nome, quando esso verrà disperso tra così tanti canali?

Nel frattempo le nostre aziende hanno proseguito anche durante le prime settimane dell’anno nuovo con il “rassicurante” messaggio con il quale ci avevano lasciato nel 2018. Urlando qua e là qualche promozione e sbattendoci in faccia i loro prezzi forti. Come siamo fin troppo abituati, tanto che nessuno si prende più la briga di alzare lo sguardo – o drizzare l’orecchio - verso quel genere di réclame.

Cercano poi di dividere il tipo di messaggio: online si comunica tramite immagini che catturano l’attenzione in pochi secondi, magari anche irriverenti, mentre gli spot televisivi tornano ad essere quelli ai quali erano abituati i nostri avi, dando per scontato che ormai la tv la guardino solo gli ultrasessantenni.

Ecco perché molti stanno cercando, per lo più goffamente, di comunicare tramite i cosiddetti MEME, la “minima unità culturale capace di replicazione”. Ovvero una semplice immagine che, tramite una provocazione, genera il desiderio di diffonderla. Lo scopo primario è ovviamente arrivare al messaggio virale, l’ambito traguardo della nuova comunicazione. Ma il tentativo il più delle volte è goffo come quell’insegnante che, alla gita del liceo, cerca di fare l’amicone andando in birreria con i suoi studenti.

Stiamo vivendo una rivoluzione copernicana anche dal punto di vista della comunicazione commerciale, oltre che sul piano dei servizi, del fatturato e dei margini. La soluzione che ci viene in mente porta ad una semplice parola, che ai più striderà come unghie sulla lavagna: investimenti. Nella comunicazione, nella formazione e nell’immagine che diamo delle nostre aziende. Basta con i volantini cartacei che andavano bene ai tempi dei nostri nonni, basta con la televendita dei prezzi in tv. Ve lo chiediamo per favore. Per non dover trascorrere un altro Natale a canticchiare la canzone dei pacchi sorridenti. Perché è l’unica che ci è davvero entrata in testa. (g.m.)