Che cos’hanno in comune la valigetta di Pulp Fiction e il sarchiapone che incuriosiva Walter Chiari nel famoso sketch? Sono entrambi esempi di MacGuffin. Con questo termine, coniato da Alfred Hitchcock, si definisce qualcosa che per i personaggi dell’opera ha un’importanza cruciale, ma che non è nient’altro che un espediente narrativo, tanto che spesso neppure gli sceneggiatori o il regista hanno una precisa idea di cosa sia realmente.
Nel nostro mondo il MacGuffin è rappresentato dall’NPS. Un concetto di straordinaria importanza attorno al quale si costruiscono tutte le dinamiche della nostra attività, ma il cui significato sfugge ai più, diventando più un motore pretestuoso che un obiettivo da raggiungere. NPS sta per Net Promoter Score ed è uno standard internazionale inventato da Fred Reichheld che esprime quanto i clienti siano soddisfatti di un brand. Il suo valore è rappresentato da un numero intero, in maniera che sia di facile e immediata comprensione, che viene calcolato sottoponendo ai consumatori finali un sondaggio (tramite e-mail o chiamata da call-center) in cui viene loro chiesto di rispondere a semplici domande in una scala da 1 a 10.
Chi darà voti tra 9 e 10 verrà considerato un promotore, chi resterà tra il 7 e l’8 un passivo, chi invece voterà da 1 a 6 sarà un detrattore. Fatto 100 il numero di clienti intervistati, il valore NPS si calcola sottraendo dal numero dei promotori il numero di detrattori.
Un NPS maggiore di 60 è il sogno di ogni punto vendita, perché significa che la maggioranza delle persone che hanno acquistato e sono state successivamente intervistate consiglierebbero ad amici o parenti una visita nel nostro negozio. Al contrario, un NPS inferiore a 24 rappresenta un campanello d’allarme perché significa che la maggior parte dei nostri clienti sono detrattori, e quindi sconsiglierebbero apertamente di mettere piede nella nostra attività commerciale, generando un passaparola negativo.
Esistono, però, alcuni punti deboli dell’NPS. Ci dice cosa pensano i nostri clienti di noi, ma non dice nulla riguardo a chi non è mai entrato (o non entra da anni) nel nostro punto vendita, o rispetto a chi è entrato e non ha comprato nulla. Un cliente che risponde ad un sondaggio dicendo che raccomanderebbe quel punto vendita a qualcun altro non significa molto. Quello che conta è se effettivamente lo raccomanda e se ciò si traduce in un aumento di pedonalità/fatturato. È difficile interpretare le reali intenzioni e i motivi che spingono i detrattori a rispondere negativamente. Anche qui, bisognerebbe capire se i voti negativi sono frutto di un’effettiva analisi dell’esperienza di acquisto, o dettati dalla rabbia di non aver trovato il prodotto (o il commesso) disponibile. Oltretutto dal momento che ormai persino il carrozziere sotto casa ci invia un sondaggio via mail (o telefonicamente) sta diventando sempre più difficile ottenere una valutazione attenta. Le percentuali di risposta alle e-mail sono generalmente inferiori al 5%, secondo una stima di Qualaroo, una startup di software che aiuta le aziende a condurre ricerche sugli utenti.
Nell’affanno di conoscere meglio la propria clientela, alcune aziende basano tutti i propri sforzi sul 5% di essa. Ignorando ciò che pensa il resto dei consumatori e premiando i punti vendita virtuosi sulla base di quei pochi voti. Lo stesso Reichheld ha affermato di essere stupito che le aziende stiano usando l'NPS per determinare i bonus e come indicatore di performance. Come il MacGuffin nel cinema, quello che si cela dietro all’NPS è spesso sconosciuto ai nostri “registi”, ma per lo meno è utile a mettere in moto qualcosa. Bisogna sempre ricordarsi, però, che esso rappresenta solo un pezzo del puzzle sulla soddisfazione del cliente. (g.m.)