Sabato, 28 Marzo 2020 10:44

Il retail dopo la tempesta: consigli di un manager

Pubblichiamo gli appunti di Marco Merolla (foto), che per una decina d'anni ha ricoperto posizioni di alto livello in aziende come Bialetti, Indesit Company e Whirlpool Emea. "Passata l'emergenza sanitaria, il trade avrà l'occasione per farsi un vestito migliore". Siamo ben disponibili a ospitare i contributi di coloro che volessero aggiungere osservazioni, spunti, idee.

Marco Merolla Marco Merolla

Prima di tutto qualche premessa. Non sono un economista e non sono in grado di fare previsioni su quale possa essere l’impatto che registreremo su potere di acquisto e posti di lavoro al termine di questo folle periodo. Posso solo augurarmi che interventi pubblici mirati prima a salvaguardare l’attuale occupazione/reddito, e poi alla creazione di posti di lavoro più sostenibili, lo minimizzino nel breve e lo rilancino nel lungo. 

Posso solo immaginare quanto dura sia la situazione per manager e imprenditori del settore, a livello di business e di sensazioni personali. Chiudere negozi, vedere l’essenza della loro impresa sospesa, preoccuparsi per il suo futuro in un contesto di già grande preoccupazione per la salute di tutti. Per quanto mi è possibile sono vicino a tutti coloro che stanno vivendo questi momenti.

Ma voglio cercare di guardare avanti con ottimismo, a quando tutto passerà: non sappiamo onestamente precisamente il quando né le modalità, che  ipotizzo graduali, ma passata la tempesta ci saranno comunque di nuovo negozi aperti, trattative e visite e ci saranno acquisti e magari anche occasioni di riflessione per iniziare a fare alcune cose diversamente.                  

1. RIPARTIAMO DAGLI ACQUISTI, E DAI BISOGNI, vecchi e nuovi:

Ci saranno acquisti piuttosto organici, a mio parere, spinti almeno da due fenomeni

  • Soddisfare nuovi bisogni:

Già nelle prime settimane di tempesta covid19 i dati ci parlavano già di un consumatore alla ricerca della soddisfazione di nuove esigenze personali legate alla costruzione e organizzazione di una vita più domestica: (riporto da mio stesso articolo): 

  • “Home working arrangement: as reported by GFK Italian consumers are creating an authentic office at home (laptop, printers, faster connection?)
  • Home entertainment: TV, console, tablet, streaming TVs and co. as allies to spend good time at home – I don’t have any insight about books but I’d be happy if they were super green too
  • Streaming services: connected to both the points above but generally related to the whole basic need to make things remotely (working, learning, communicating, sporting)

Tali bisogni sono stati parzialmente eclissati in seguito alla chiusura dei negozi e allo shutdown totale, ma il bisogno sottostante è a mio parere ancora lì. Non vivremo in “remote” tutta la nostra vita futura, ma tutti gli analisti sono concordi nel confermare che un maggiore coefficiente di vita “remote” vs “non remote” diventerà comunque un fatto. 

Al di là quindi dell’incertezza dei primi mesi in termini di ritorno alla vita regolare, l’eredità della maggiore fruizione “remote” di cose che prima facevamo solo “live” permarrà, e questo vorrà dire perpetuare un bisogno di consumo orientato all’organizzazione di questa fase della vita da un punto di vista di prodotti e/o servizi legati alle aree: Home Leisure/entertainment  e Home Working/learning/exercising.

Il tutto già a offerta esistente, ma è molto probabile poi che l’offerta dell’industria in tal senso aumenti portando nuovi devices e un’ondata di innovazione.

  • Aggiornare, riparare, empatizzare

Ma bianco e ped non devono per forza stare a guardare, anzi ci sono elementi potenzialmente molto interessanti che potranno emergere: il primo più concreto, il secondo meno ma più potenziale.

A. Il tasso di utilizzo domestico degli elettrodomestici sta subendo in queste settimane incrementi clamorosi. Ho fatto una proiezione artigianale di numero di usi mensili per apparecchio tra un campione di coppie senza figli nella città di Milano. Ecco i risultati: 

  • Lavastoviglie: da 16 utilizzi a 40 utilizzi 
  • Forno: da 4/5 a 10/12
  • Planetaria: da 0/1 a 4/5
  • Aspirapolvere: da 12 a 20/30 
  • Lavatrice: da 10 a 16/18

Possiamo facilmente immaginare la stessa proporzione applicata ad una famiglia più numerosa. Nessuna rilevanza statistica, ma credo che gli incrementi segnalati siano piuttosto generalizzabili. 

Ora chiariamo subito che non è che i nostri elettrodomestici siano fatti per usurarsi velocemente, ma è un dato di fatto che in Italia abbiamo uno dei parchi apparecchi installati più vecchio in assoluto (è uno dei motivi, assieme alla penetrazione bassa di alcune categorie, per cui il nostro mercato è più piccolo in assoluto e procapite rispetto a Germania e Francia). Siamo sicuri che apparecchi che già erano tirati al limite terranno tutti brillantemente? 

B. E poi non guardiamola sempre e solo con l’aspirazione alla benedetta “rottura”. Guardiamola anche in termini di bisogno e di relazione ed empatia con il prodotto, perché è in questa area che c’è potenzialmente la novità più dirompente dal lato del marketing. 

Maggiore uso, maggiore experience di tanti prodotti possono determinare una maggiore attitudine ad accorgersi di difetti, ma anche di caratteristiche e funzioni che prima il consumatore vedeva magari di meno: “Pesante questa aspirapolvere”, “consuma questa lavatrice, non ha funzioni di igiene specifiche”, “ah voi avete la funzione lievitazione nel forno, per questo la pasta della pizza è cresciuta così bene” e “io lo pulisco totalmente con la pirolisi”. 

Dialoghi del genere, che tutti i markettari di questo settore avrebbero voluto stimolare sognando che del proprio prodotto si parlasse al pari di un iPhone (del resto migliorano la vita molto concretamente) e che prima purtroppo mancavano all’appello .… beh, udite udite stanno avvenendo proprio adesso nelle case degli italiani!! E’ la rivincita degli elettrodomestici.

Insomma la necessità organica di comprare ci sarà e andrà colta, ma come?

2. COMUNICAZIONE, ESPOSIZIONE, LAY OUT E MENTAL MODEL: GRANDI OPPORTUNITA’ DI CAMBIAMENTO

In primis ripartiamo da bisogni e benefici: non solo uno dei due, bensì l’uno e l’altro assieme. 

Facciamo vincere finalmente un marketing empatico, che analizzi il bisogno del consumatore. Un bisogno da rivitalizzare a livello creativo e di story telling, rispondendovi chiaramente ed efficacemente con la funzione/prodotto in grado di soddisfarlo. 

Collegarsi in video conferenza, collegarsi in video conferenza in un ambiente in cui altri membri della famiglia fanno lo stesso, giocare con amici ovunque essi siano, fare la pizza a casa, igienizzare i capi o gli ambienti, pulire bene il forno, sono bisogni chiari e rilevanti a cui corrispondono prodotti e funzioni. Ma possiamo renderli protagonisti cambiando la modalità gestionale attorno ad essi. 

1 Mappiamo prima i bisogni attorno a cui costruire la nostra offerta, e poi clusterizziamo all’interno di un dato bisogno i codici che sanno rispondervi

2 Facciamo vivere il bisogno creando un’ambientazione che lo faccia vivere con empatia

3 Offriamo la soluzione parlando di feature e benefit.

4 Parliamo e comunichiamo solo attraverso questi ultimi e completiamo in tal senso la formazione di tutti; se c’è un bisogno-chiave relativo a tutto il mondo home-working o home-entertainment è necessario che gli addetti vendita conoscano bene non solo l’hardware ma tutto ciò che in termini di software con esso si possa fare, applicazioni e strumenti vari perché il software diventa strumento di vendita (“con X “teams” o “coursera” funzionano benissimo, o sono già istallati o c’è l’iscrizione gratuita).

5 Ambientiamo il negozio fisico e digitale in tal senso. Nel negozio di domani sarò più attratto vedendo rappresentato fisicamente, e quindi vissuto in termini di in-store experience, come potrebbe essere il mio salotto più attrezzato al remote, o la mia cucina sempre più performante piuttosto che vedere un numero esorbitante di apparecchi anonimi uno accanto l’altro. Vendiamo esperienze esponendo ambienti di vita vera rendendoli vivi, aumentiamo l’empatia e riduciamo anche il numero di codici e stock, tanto il catalogo poi si può allargare digitalmente all’infinito come molti fanno già. Accogliamo su sito e negozi il consumatore parlando dei suoi bisogni finali che possano quindi diventare una chiave di esposizione nel negozio ma anche di ricerca sul sito (lavatrice, kg, spin, prof VS lavatrice, quante persone, cicli igienizzanti …. )

In sintesi, in questa area proviamo a cogliere l’opportunità di modifiche strutturali. 

Negozi che diventino sempre meno una lunga carrellata espositiva di un sempre più alto numero di codici difficili da spiegare, trasformandosi in ambienti emozionali, palcoscenici di vita quotidiana, con minore numero di codici esposti e stoccati; totem digitali e affini a completare l’offerta.

Ecommerce che prendono il percorso di acquisto dal punto di vista delle domande / needs di vita vera.

3. GENERAZIONE DEL VALORE, PRICING, PROMOZIONALITA’, FINANZIAMENTI

Andrà prestata attenzione alle promozioni a prezzo intero. Sia chiaro, alcuni consumatori potranno avere difficoltà, e lungi da me gettargli la croce addosso. Semplicemente però credo che combinando l’offerta delle tante industrie e marche che operano sul mercato ci sia già oggi una presenza di proposte enorme e variegata e che essa sia già da sola sufficiente a creare una proposizione scalare che accontenti, come è giusto che sia, tutti i portafogli. Non c’è necessità però di promozionare tutto. 

Abbiamo parlato poi di possibile necessità di acquisti organici, e temo non ci si possa fare illusioni: se non sarà organica, allora non sarà proprio nulla, l’alternativa è zero. Non la creeremmo comunque con le promozioni eccessive che avrebbero come unico impatto di ridurre il valore di una vendita che sarebbe stata magari fatta lo stesso. 

Piuttosto cercherei di assecondare il delicato momento con un uso maggiore e facilitato del finanziamento anche per soglie di prezzo più basse del solito. In tal senso andrebbero contattati gli istituti del caso per studiare una politica congiunta di emergenza, un Piano Marshall del microcredito (istituto che non a caso è nato in Bangladesh) e magari proviamo a orientare aiuti statali in tal senso da subito

Il canale retail infatti vende sempre di più prodotti essenziali: lo erano già, beninteso, ma alla luce di quanto abbiamo detto lo saranno sempre di più. Staremo aiutando il consumatore a vivere meglio la propria vita e le nuove esigenze che per altro conducono anche ad una maggiore sostenibilità, obiettivo primario del EU Green Deal per esempio.

Valutare e coordinare bene il supporto dell’industria in tal senso, che sarebbe preferibile agisse in maniera sinergica sulle stesse azioni con finalità di rinforzare il potere di fuoco dello stesso “bazooka”, piuttosto che introdurre troppe e differenti azioni individuali al consumo. Andranno poi privilegiate partnership di valore con azioni promo fisiche e digitali congiunte. Obiettivi quindi: 1 rinforzare la gittata delle azioni al consumo decise come retailer; 2 animare assieme il punto vendita; 3 mettere a fattor comune dati e know-how per efficaci azioni di precision marketing dal punto di vista digital.

4. GENERAZIONE DEL VALORE: FORMULE DIVERSE

E se fosse il momento di sperimentare formule diverse? In un momento di probabili problemi di cassa potrebbe essere l’occasione di valutare anche in Italia l’uso del modello “agenzia”. Il prodotto di un’area del mio scaffale rimane di proprietà dell’azienda X fino alla vendita e io prendo una percentuale Y su di essa una volta portata a termine a titolo di contributo esposizione/promozione. 

Questa formula andrebbe incontro a un eventuale problema di cassa di un retailer, dall’altra parte invece il “leasing” o il “product for usage” andrebbero incontro a una possiblie esigenza di cassa del consumatore finale che potrebbe comunque portarsi a casa prestazioni importanti. (Per altro in queste formule nella sua vita totale il prodotto potrebbe economicamente generare anche più valore).

5. Da omnicanali a ecosistemi smart

Infine il punto forse più caldo e dolente: la situazione in corso ci ha evidenziato definitivamente, se ve ne fosse ancora bisogno, che senza un ecommerce ben funzionante e ben integrato in tutta la strategia aziendale sarà complicato fare bene. Al di là dell’emergenza, questo varrà ancora di più nella nuova normalità che vedrà comunque sempre più persone avvezze allo shopping online

In Italia e in Europa non abbiamo bisogno solo di un canale online ben funzionante e ben integrato con quello fisico, abbiamo bisogno di fare un salto verso un modello di imprese davvero smart che consenta di collegare tutti gli attori del sistema, non solo il retailer e il consumatore, ma anche fornitori/industria e supply chain a tutti i livelli in uno scambio automatizzato di informazioni che aumenti l’efficienza tramite l’eliminazione di tempi morti e di attività a basso valore aggiunto. 

Abbiamo nei nostri sistemi informatici tutti i dati per migliorare previsioni, ridurre stock, aumentare rotazioni, comprare meglio, spedire più puntualmente. Ma non sono collegati tra di loro, ognuno ha i suoi. Solo un ecosistema collegato può trasformarli in predizioni e azioni concrete che abbassino costi e riducano inefficienze. Non è una digitalizzazione finalizzata a una discussione tra canali ma ad una totale maggiore efficienza della catena.

Pensiamo ad Alibaba, un’azienda che qualcuno potrebbe erroneamente immaginare come un semplice marketplace o addirittura un semplice pure player o molto simile ad Amazon (nulla di più diverso). In realtà Alibaba è il gestore di un ecosistema, creato da lei stessa per trasformare in entità smart tutti gli altri player della catena, consapevole che solo una rete di imprese smart può accrescere il valore di tutto il network perché il collegamento di una entità smart in più, che condivide dati, consente di aumentare la capacità predittiva di tutto il sistema. 

Riporto la definizione di impresa smart che si fa su HBR (Harvard Business Review, Ming Zeng, ottobre 2018)

“Smart business emerges when all players involved in achieving a common business goal—retailing, for example, or ride sharing—are coordinated in an online network and use machine-learning technology to efficiently leverage data in real time. This tech-enabled model, in which most operational decisions are made by machines, allows companies to adapt dynamically and rapidly to changing market conditions and customer preferences, gaining tremendous competitive advantage over traditional businesses.”

Il tema non è solo quindi la “digital maturity” ma anche la “digital supported supply chain” ed è già un fatto che questo ecosistema ha consentito una maggiore resilienza nelle zone chiuse in Cina che qualcuno potrebbe imputare a una semplice maggiore penetrazione del digitale. 

Marco Merolla

#andratuttobene