“Sì, grazie, sono 19,99 euro. Ecco, appoggi la carta qui. No, aspetti il beep: è sicuro di avere il contactless?”, dice al cliente la cassiera Anna, che nel frattempo è preoccupata del fatto che la babysitter non le abbia ancora confermato di aver preso il figlio a scuola. “A volte non funziona, magari lo inseriamo che è meglio. Fa sempre i capricci”, ammette il cliente con un sorriso, mentre spera sinceramente di non aver finito il plafond anche questo mese. Il POS conferma la transazione con un laconico beep. “Ecco a lei, grazie e arrivederci!”, risponde frettolosamente Anna, estraendo contemporaneamente lo smartphone dalla tasca per vedere se ci sono nuovi messaggi su WhatsApp. Incredibile pensare che, in questa scenetta il consumatore e Anna (entrambi distratti da altri pensieri) abbiano stretto un contratto di vendita. Nella parte terza del Codice del Consumo si parla proprio di questo: il rapporto di consumo. La vendita di ogni articolo è un contratto di compravendita secondo l’articolo 1470 del Codice Civile. Quindi, acquistando un articolo, anche un semplice caffè al bar, stiamo effettivamente stipulando un contratto. Ma parlando di tali contratti, dobbiamo capire cosa siano le clausole vessatorie.
Parlando di contratti di vendita, dobbiamo capire esattamente cosa siano le clausole vessatorie.
Art. 33. Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore - Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Le clausole vessatorie, quindi, sono regole o condizioni che possono essere inserite da un venditore e che limitano o pregiudicano i diritti dei consumatori in maniera sproporzionata. La clausola vessatoria non deve essere necessariamente in forma scritta, può anche essere espressa in forma verbale, anche se in questo caso – per dimostrarlo – il consumatore avrà bisogno necessariamente di testimoni.
Facciamo alcuni esempi pratici:
- Se dico ad un cliente che sta acquistando una macchina del caffè che dovrà utilizzare solo ed esclusivamente con capsule originali, altrimenti decadrà la garanzia del prodotto, sto (magari involontariamente) inserendo una clausola vessatoria nel contratto di compravendita, che come abbiamo visto può essere il semplice scontrino di acquisto.
- Se vendo una lavatrice esposta con qualche difetto estetico non posso scrivere sulla proposta di vendita “Vista e piaciuta, non si accettano resi”, perché andrei a limitare, in maniera sproporzionata e irragionevole, la garanzia legale che è un diritto fondamentale del consumatore.
- Quando vendo un computer portatile e il cliente mi chiede se potrà aumentare la RAM o inserire un altro disco SSD, e io vedo che c’è l’apposito alloggiamento accessibile dall’utente svitando una semplice vite, non posso dire al consumatore che – svitando quella vite – perderà la garanzia sul prodotto.
Il Codice del Consumo mira a proteggere i consumatori vietando l'uso di clausole vessatorie nei contratti tra imprese e consumatori. Questo significa che se una clausola è considerata vessatoria, può essere dichiarata nulla e priva di efficacia legale. La nullità del contratto di vendita, nel caso di una compravendita con semplice scontrino, è il rimborso del denaro e il reso del prodotto. L'obiettivo principale delle norme sulle clausole vessatorie è garantire che i consumatori siano trattati in modo equo e che non vengano sfruttati tramite disposizioni contrattuali ingiuste o sbilanciate.
In determinate circostanze, anche la forzatura ad acquistare un servizio aggiuntivo può essere considerata una clausola vessatoria. “Guardi, faccia la nostra estensione di garanzia, così potrà rivolgersi a noi per qualunque problema anziché dover chiamare il servizio clienti del produttore”. In questo esempio, l'imposizione di dover acquistare un'estensione di garanzia come condizione per poter ricevere assistenza in caso di problemi con l'acquisto potrebbe costituire una clausola vessatoria. In realtà il consumatore può SEMPRE rivolgersi al rivenditore per qualunque problema durante il periodo di garanzia legale del prodotto, anche nel caso in cui potrebbe chiamare lui stesso il servizio clienti del produttore. Questo, ovviamente, non significa che noi venditori dobbiamo per forza intervenire con il reso dell’articolo appena si presenta un difetto (immaginatevi di dover sostituire tutte le lavatrici con il filtro intasato!). Tuttavia non possiamo esimerci dal guidare chi ha acquistato da noi con tanta fiducia nella risoluzione del suo problema, che è anche un modo per fidelizzare il cliente.
Art. 39. Regole nelle attività commerciali - Le attività commerciali sono [devono essere, N.d.A.] improntate al rispetto dei principi di buona fede, di correttezza e di lealtà, valutati anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori.
In realtà, basterebbe stampare questo articolo e appenderlo in bella vista nei negozi per evitare troppe parole, ma il prossimo argomento è quello che genera più discussioni in negozio: il famigerato diritto di recesso.
Art. 64. Esercizio del diritto di recesso - Per i contratti e per le proposte contrattuali a distanza ovvero negoziati fuori dai locali commerciali, il consumatore ha diritto di recedere senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo […]
Quante volte ci siamo sentiti dire: “Secondo il diritto di recesso, io posso restituirti questo monopattino sporco e usato per una settimana nei peggiori sentieri di Caracas e avere il reso in denaro!”. Scherzi a parte, dobbiamo sempre ricordare ai clienti che il diritto di recesso vale solo per gli acquisti conclusi a distanza (quindi on-line o telefonicamente) e non per quelli effettuati in negozio. Poi, il fatto che molte catene commerciali abbiano una loro politica volontaria di reso, e che diano la possibilità comunque di restituire un prodotto entro 14 giorni, è un altro discorso. Questa politica volontaria, tuttavia, prevede che il cliente debba sottostare a certe regole. Ad esempio, il consumatore potrebbe perdere il diritto al rimborso se non riporta il prodotto con l’imballo originale non rovinato, oppure nel caso in cui abbia acquistato un articolo destinato all’igiene personale. Nessuno vorrebbe comprare uno spazzolino elettrico usato.
Con la Direttiva (UE) 2019/2161, comunemente nota come Direttiva Omnibus, è stata introdotta una modifica al termine di recesso per gli acquisti online. La Direttiva prevede che il termine per esercitare il diritto di recesso sia esteso da 14 a 30 giorni. Probabilmente, quindi, molti negozi estenderanno la possibilità di reso del prodotto ai loro clienti finali fino a 30 giorni. Questo significa che dovremo sempre più educare i clienti al fatto che non è un loro diritto renderci la planetaria con ancora la pasta della pizza attaccata, ma devono rispettare il regolamento interno del punto vendita per questo genere di cose. Vi consiglio di studiare bene le regole che deve rispettare un cliente nel caso in cui intenda restituire un articolo, chiedete in cassa o ai vostri superiori. Scoprirete che il cliente non ha sempre ragione.
Mi capitato più di una volta di dover discutere con consumatori che volevano restituirmi una macchina espresso super-automatica tutta sporca di caffè macinato, con ancora l’acqua nel serbatoio. Il motivo? Il caffè non era di loro gusto. “Tanto abbiamo il diritto di recesso, no? Non potete rifiutarvi di darci i soldi indietro!”. Scena classica. Anche se sprechi tutte le parole del dizionario, non riesci a far capire al cliente che la macchinetta non è difettosa, magari basterebbe cambiare miscela o programma di macinatura. Niente. Spesso, in questi casi, cediamo alla prepotenza per non farci marcire il fegato, tuttavia abbiamo il sacrosanto diritto di chiedere al consumatore di restituire l’articolo pulito e nelle stesse condizioni in cui glielo abbiamo venduto.
E pensare che molti negozi negli Stati Uniti offrono politiche di reso generose che consentono ai consumatori di restituire un prodotto entro un periodo di tempo più lungo, addirittura 90 giorni, se non sono soddisfatti dell'acquisto. Noi abbiamo già molte difficoltà a far capire ai clienti che non devono buttare l’imballo originale appena escono dal negozio. (nathan@biancoebruno.it)
[Nathan scrive questi articoli con la supervisione di Konsumer Italia]