Mercoledì, 31 Luglio 2019 10:23

Sono in ferie e quindi lavoro

Il diritto alla disconnessione dall’ufficio “digitale” resta ancora molto labile e di fatto inesistente.

Giornate da bollino rosso per il traffico: iniziano le ferie estive per la maggior parte degli italiani. Nei negozi di elettronica, ormai aperti tutto l’anno quasi come Disneyworld, ci si alterna tra chi parte e chi rientra.

Ma che siate andati in vacanza a luglio, o che dobbiate ancora partire, fateci caso: sono sempre più frequenti i vicini di ombrellone impegnati al telefono con “la ditta” o concentrati sul lettino nella scrittura di una mail (o un messaggio WhatsApp) di cui possiamo solo immaginare l’importanza del contenuto.

Appannaggio di pochi e ben retribuiti manager fino a qualche anno fa, l’idea di non poter staccare la spina ha pervaso anche la base delle nostre aziende. Dal middle management all’addetto vendita sono veramente pochi quelli che si concedono il diritto alla disconnessione.

Già diventato legge dal 2016 in Francia, dove viene previsto espressamente che le aziende si impegnino a regolamentare il tempo libero da poter trascorrere off-line, in Italia il diritto alla disconnessione è stato preso in considerazione per lo smart working (il lavoro da casa), ed è riconosciuto in ambito di contrattazione collettiva, dove viene specificato che telefonate e mail per motivi di lavoro vanno circoscritte al solo turno lavorativo.

Eppure non si parla ancora di sistemi di messaggistica istantanea, quasi che i social come Messenger, Telegram e WhatsApp vengano considerati metodi di comunicazione personale e non lavorativa. Invece a nostro avviso proprio quelli saranno i motivi per i quali ci si dovrà accordare per fare in modo che il lavoratore possa esercitare il diritto di essere irreperibile. Prolungare il livello di attenzione e di disponibilità del dipendente oltre il normale orario di lavoro per cui viene retribuito, infatti, potrebbe a buona ragione essere considerato una fonte di ingiusto stress nei confronti dello stesso.

A giudicare poi da quanti gruppi di WhatsApp abbiamo, e quanto spesso e volentieri partecipiamo a queste “riunioni virtuali” – anche quando siamo in ferie – sembra che nessuno di noi avverta ancora l’esigenza di esercitare questo diritto. E dire che sono gravi e piuttosto frequenti le patologie da stress che un lavoratore perennemente connesso può manifestare, principalmente imputabili al senso del dovere e alla sua volontà di non scollegarsi da faccende lavorative.

È come se fossimo noi stessi a proporre all’azienda una reperibilità gratuita senza soluzione di continuità. Incuranti del fatto che, come abbiamo già segnalato [http://bit.ly/2yswnyU] , il nostro cervello resta ormai perennemente nella condizione che gli americani chiamano di “fight-or-fly” – letteralmente “combatti o fuggi” – senza potersi concedere mai una pausa. Questo ci porta a considerare un altro termine anglosassone: il “burnout”. Ovvero quella condizione patologica causata da sovraccarico di lavoro e cattiva gestione dello stress.

E se rispondere alla mail del fornitore che ci chiede un riscontro sulle vendite può sembrarci innocente, come leggere ogni tanto i messaggini di WhatsApp in cui già ci viene richiesto un cambio turno nella settimana del nostro rientro, in realtà stiamo facendo un torto a noi stessi: non concedendo alla nostra mente e al nostro corpo l’opportunità di dire finalmente: “Siamo chiusi per ferie”. (g.m.)