Siamo una generazione di scoppiati sul lavoro. Fateci caso. Che parliate con l’amico che insegna matematica al liceo o col parente che lavora in banca, mestieri che noi “umili” commessi vediamo più come un terno al lotto che un’attività lavorativa, sono tutti sconvolti. Un piccolo “burn-out” ormai non si nega più a nessuno. Ci lamentiamo tutti. Sarà colpa della frenesia moderna, sarà colpa degli smartphone che ci tengono incatenati al lavoro anche durante il tempo libero, sarà colpa della crisi (c’è sempre una crisi a cui dare la colpa), fatto sta che ci sono giornate in cui non ce la facciamo davvero più. Per fortuna, anche gli americani se ne stanno rendendo conto. Dal Paese in cui lavorare 80 ore la settimana è da sempre considerato fonte di ricchezza e prestigio, ci arrivano segnali che – forse – abbiamo sbagliato tutto e che un’altra vita (lavorativa) è possibile.
Il paese più capitalista del mondo ci ripensa
Gli statunitensi stanno riconsiderando il loro rapporto con il lavoro. Nel febbraio 2023, altri 2 milioni di americani hanno richiesto volontariamente la riduzione oraria a part-time, andandosi ad aggiungere ai 20,7 milioni che già praticano la settimana corta. Nel frattempo, alcuni partecipanti a un esperimento di quattro giorni lavorativi nel Regno Unito affermano che non esiste una somma di denaro che potrebbe farli tornare indietro. Lo scorso dicembre, poi, il governo spagnolo ha annunciato che avrebbe elargito aiuti per le aziende che avrebbero aderito alla settimana corta ovvero una settimana lavorativa di quattro giorni. I legislatori statunitensi ne hanno preso atto, proponendo un decreto che ridurrebbe la settimana lavorativa standard a 32 ore. Ridurre le proprie ore lavorative, secondo alcuni intervistati dal Wall Street Journal, libera dai costi e dallo stress legati alla ricerca di servizi di assistenza all’infanzia, come asili nido e baby sitter, diminuisce notevolmente la spesa settimanale di carburante per gli spostamenti e i pranzi fuori casa, ma soprattutto rivede la posizione centrale del lavoro all’interno della propria vita, portandola ad una zona più periferica nella quale non si vive solo per lavorare.
Scelta per pochi privilegiati?
Una scelta da privilegiati, direte voi: chi deve pagare un mutuo e mettere assieme il pranzo con la cena non può permettersi di lavorare – e quindi guadagnare – meno. Per molti lavoratori, la possibilità di un part-time semplicemente non è un’opzione perché hanno bisogno di soldi, soprattutto in un contesto di inflazione. In realtà serve un (lento) cambio di mentalità: almeno un paio di generazioni sono cresciute con il vangelo del duro lavoro, e ci vorranno due o tre generazioni per riportare il mestiere al giusto posto. “Il futuro è rappresentato da intere organizzazioni in cui tutti lavoreranno meno ore”, afferma il professor Brendan Burchell, professore di sociologia all’Università di Cambridge che ha studiato come l’orario di lavoro influisca sul benessere psicologico. Gli esseri umani hanno bisogno di lavoro per dare una cadenza alle proprie settimane, per conferire uno scopo alla propria vita e accrescere l’autostima, dice. Ma non ce ne serve così tanto. Un articolo del 2019 dello stesso Burchell e di diversi coautori ha presentato i risultati di uno studio condotto dal loro ateneo. In questo esperimento si evidenziava che le persone che svolgevano da una a otto ore di lavoro retribuito a settimana avevano ottenuto lo stesso miglioramento della salute mentale – meno ansia, meno depressione – di coloro che lavoravano da 44 a 48 ore a settimana. In futuro, “guarderemo indietro e penseremo: perché abbiamo lavorato tutti cinque i giorni?” commenta Burchell.
Lavorare meno per lavorare tutti
Veramente insolito sentire chiedere “lavorare meno per lavorare tutti” dal paese capitalista per eccellenza, tuttavia anche negli Stati Uniti si stanno rendendo conto che, forse, abbiamo caricato sulle spalle di pochi lavoratori una fatica che poteva essere benissimo suddivisa. Anche a vantaggio di un minor tasso di disoccupazione. Ma le aziende saranno della stessa opinione? Pare di sì, molte ditte hanno scoperto che le lunghe ore di lavoro danno rendimenti decrescenti. Si rischia di pagare 40 ore un dipendente per un lavoro che potrebbe benissimo essere svolto in 30. Impiegata a tempo pieno all'inizio della sua carriera, l'ingegnere ambientale Megan Neiderhiser ricorda di aver trascorso molto tempo bighellonando accanto al distributore dell'acqua, chiacchierando con i colleghi. Ora, lavorando 30 ore a settimana, ma mirando agli stessi obiettivi di fatturato dei suoi colleghi a tempo pieno, non spreca tempo in riunioni o chiacchiere non indispensabili e si concentra sul proprio lavoro, sapendo che il resto delle ore che prima doveva trascorrere in azienda ora può dedicarle alla vita privata.
Il paradosso del part-time
Ma come la mettiamo con un mestiere, come quello dell’addetto vendita, nel quale è importante ottenere un buon presidio del negozio, quindi allungare – semmai – l’orario di presenza piuttosto che diminuirlo. Chiunque abbia provato a gestire i turni di un punto vendita sa che il flusso della clientela è spesso concentrato in due momenti diametralmente opposti tra di loro: la mattina e il tardo pomeriggio. Quindi la scelta è tra impiegare una persona 8 ore al giorno (più pausa), col risultato che servirà l’ultimo cliente molto peggio rispetto a come ha servito il primo, o utilizzare due part-time che abbiano risorse fresche da utilizzare con entrambi i flussi di clientela.
Il futuro, secondo Forbes
Secondo Forbes, il futuro del lavoro e della vita privata sarà caratterizzato da un maggiore equilibrio tra i due. Ciò significa che le aziende dovranno adottare nuove politiche e strategie per garantire che i loro dipendenti abbiano una vita lavorativa soddisfacente e allo stesso tempo possano dedicarsi alla propria vita privata. Il part-time aiuta a conciliare la vita lavorativa con quella privata e non è così drasticamente meno retribuito rispetto ad un full-time, considerando i minori carichi fiscali a cui è sottoposto. Alle aziende, il lavoro part-time può essere utile perché maggiormente flessibile nel coprire i picchi di lavoro e nel ridurre i costi del personale. Trasformare contratti esistenti full-time in part-time, su base volontaria, potrebbe poi essere utilizzato come scivolo pensionistico o per venire incontro ad esigenze dei dipendenti sopraggiunte in seguito. Per ora, in Italia, non ci sono incentivi statali per le aziende che propongano una “settimana corta” ai propri dipendenti. Ma è una questione di tempo, il nuovo trend è quello di rallentare, sia per consentire ai giovani di affacciarsi sul mondo del lavoro, sia per tornare ad un ritmo più conciliante vita-lavoro. È il caso di iniziare a valutare la convenienza di passare da un regime con orario full-time a quello part-time. Anche a fronte di piccole rinunce. Si tratta semplicemente di rimettere in ordine le nostre priorità. Dando più valore al nostro tempo, alla nostra vita. (g.m.)