Lunedì, 23 Giugno 2025 10:28

Il retail fisico non è morto, cambia solo pelle

A dispetto delle previsioni più cupe, alcune saracinesche si stanno muovendo. E stavolta verso l’alto. Perché? L’algoritmo di Amazon ha i suoi limiti. Passiamoli in rassegna.

A dispetto delle previsioni più cupe, alcune saracinesche si stanno muovendo. E stavolta verso l’alto. Siamo appena a metà anno e sono già dieci i nuovi negozi di elettronica di consumo aperti in Italia, un numero che suona clamoroso se si pensa al clima di pessimismo cosmico a cui siamo abituati. I due big, Mediaworld e Unieuro, hanno messo in campo piani di investimento finalizzati alle nuove aperture e alle ristrutturazioni di alcuni punti vendita storici. Euronics ha inaugurato nel 2024 i formati compatti “City” e “Point” e intende proseguire questa espansione anche nel 2025. Anche Trony ed Expert hanno segnato la loro presenza sul territorio con grand opening mirate, puntando su format consolidati e radicamento locale. In un mercato che sembrava ormai colonizzato dall’e-commerce, il ritorno dell’insegna fisica — e di prossimità — rappresenta un’inversione di tendenza significativa. Vediamone assieme i motivi e le prospettive future. 

Le esigenze cambiano, il formato anche

Non parliamo più dei classici megastore da 3.000 metri quadri in periferia. I nuovi punti vendita sono "smart", agili, essenziali. Piccole metrature nei centri urbani, con assortimenti mirati e logistica semplificata. Dai 400 ai 1500 mq, superfici medie perfette per garantire prossimità territoriale e capillarità dell’offerta, con spazi sufficienti per un assortimento tecnologico qualificato e servizi dedicati. Un formato che non pretende di offrire tutto, ma tutto ciò che serve in quel momento e in quel contesto. Il negozio torna così a essere presidio, punto d'appoggio, riferimento urbano. E non sono solo belle parole, è una risposta concreta a una trasformazione più profonda del mercato. 

Quando l’algoritmo va in tilt

L’algoritmo di Amazon, per quanto sofisticato, dà il meglio di sé quando ha a che fare con prodotti semplici, standardizzati e a basso tasso di variabilità. Prendiamo ad esempio una molletta da bucato. Quando un articolo del genere comincia a performare bene nel marketplace, il sistema è in grado di intercettarne il potenziale, analizzare i volumi di vendita, individuare il venditore più attivo e — in alcuni casi — intervenire direttamente, acquistando il prodotto in stock o replicandolo sotto un marchio proprietario, come Amazon Basics. È la logica della private label algoritmica, un meccanismo che premia la ripetibilità e l’omogeneità. 

Ma questo approccio ha un limite: funziona bene con i prodotti standardizzabili, molto meno con quelli complessi e articolati. Come i grandi elettrodomestici: troppe variabili, troppa frammentazione tra marchi, modelli, serie, versioni in produzione e fuori catalogo. Chi lavora nel retail lo sa bene: muoversi all’interno dei cataloghi immensi dei produttori di elettrodomestici è difficile, non si presta alla “scalabilità” che vorrebbe un mero algoritmo informatico. È qui che l’intelligenza artificiale incontra i suoi limiti, ed è qui che il retail fisico, forte della sua esperienza sul campo, trova ancora uno spazio di manovra competitivo.

Golia-Amazon contro il negozietto-Davide

Amazon non ama i grandi elettrodomestici anche — e soprattutto — per motivi molto pratici. Consegne complesse, appuntamenti da fissare, rischio di danni da trasporto, clienti che sbagliano le misure o che restituiscono un prodotto dopo averlo usato, RAEE da smaltire secondo normative europee non sempre intuitive. E i costi di reso e gestione del ricondizionato. Amazon preferisce evitare di vendere direttamente frigoriferi, lavatrici, forni e simili. Il marketplace di Seattle affida da tempo questi prodotti a venditori terzi, limitando la propria esposizione. 

In alcuni Paesi europei, Amazon ha già fatto un passo indietro. In Italia, da tempo affida questi prodotti a venditori terzi, preferendo mantenere un ruolo laterale, logistico e con guadagni marginali, ma sicuri. Il che lascia ampio spazio a chi quei prodotti sa ancora venderli, consegnarli e installarli. A chi ha il coraggio di assumersi il rischio d’impresa. 

In sostanza, i grandi elettrodomestici non sono “comodi” né per l’algoritmo né per la logistica: troppo costosi da stoccare, da consegnare, da smaltire, da installare. Qui Amazon adotta una strategia difensiva e lascia spazio ad altri sul campo.

Il bisogno immediato, il consiglio esperto

Se passiamo ai piccoli elettrodomestici la musica cambia, ma non di molto. Il bisogno immediato di un frullatore rotto; la necessità di un microonde funzionante entro l’ora di pranzo; il ferro da stiro che si guasta a metà cesta del bucato; queste cose non si sposano bene con la “consegna prevista tra 24 ore, salvo imprevisti”. Il negozietto sotto casa, con il personale che ti ascolta e ti consiglia, torna a essere non solo utile, ma necessario. E spesso più competitivo di quanto si pensi. Lo insegna bene il grande caldo che stiamo vivendo in questi giorni, con i punti vendita presi d’assalto per accaparrarsi un ventilatore, un condizionatore portatile, un raffrescatore, basta che si riesca ad avere un sollievo dalle temperature (sempre più) torride! Quando il bisogno è immediato, chi chiamerai? Il negozio sotto casa.

Capillarità, formazione, logistica: una rivincita silenziosa

Se è vero che il retail fisico non può più permettersi di competere sul piano dei volumi o dei margini con le grandi piattaforme globali, è altrettanto vero che può giocarsi — e vincere — la partita su un altro campo. Oggi, ciò che può fare davvero la differenza è una strategia fondata su tre asset chiave: capillarità, formazione e logistica.

La capillarità è già in atto. I nuovi punti vendita, se ben distribuiti sul territorio, non servono solo a “presidiare” il mercato, ma a intercettare i bisogni prima ancora che diventino acquisti. È la forza del quartiere, della presenza fisica, della vetrina che ci ricorda quello che dovremmo comprare, ancor prima di averne bisogno.

La formazione è la leva competitiva che può colmare il divario digitale. Di fronte ad un algoritmo che “consiglia” ma non ascolta, il valore umano torna centrale: un addetto preparato, aggiornato, capace di leggere il contesto familiare o professionale di un cliente, vale più di mille recensioni aggregate. È un lavoro che richiede tempo e investimenti, ma che crea fiducia, relazione e ritorno.

Infine, la logistica. Non basta vendere: bisogna saper consegnare, installare, spiegare, smaltire. I nuovi modelli di servizio — dal click & collect alla prenotazione in negozio con installazione a domicilio — mostrano che il cliente premia l’efficienza quando incontra l’affidabilità. E il territorio italiano, con la sua varietà urbanistica e culturale, è il luogo perfetto per valorizzare reti logistiche locali.

Questa non è nostalgia per un commercio che fu. È un atto di forza: in un mercato saturo di offerte, l’unica vera rivoluzione è tornare ad essere rilevanti. Un cliente che entra in negozio, trova qualcuno che lo ascolta, che gli consegna la merce, che gestisce il post vendita e quindi non ha bisogno di tornare su Amazon.

Chiamatela vendetta, rivincita o semplicemente sopravvivenza evolutiva, ma è un fatto: il retail fisico non è morto. Sta solo cambiando pelle. E mentre l’algoritmo si inceppa, il negozio riaccende le luci. (g.m.)