Capita spesso che gli addetti vendita si trovino di fronte a clienti che hanno già effettuato ricerche online e arrivano in negozio con decisioni irrevocabili. Questo fenomeno, particolarmente diffuso nel retail dell’elettronica di consumo, mette in discussione il ruolo dello specialista, creando un paradosso: il commesso, pur essendo competente, diventa "invisibile" agli occhi del cliente. Quando non viene addirittura visto come un ostacolo che si frappone tra l’acquirente e il prodotto che intende acquistare.
Il deskilling percettivo del cliente
La prendiamo un po’ alla lontana, ma è solo per spiegare meglio questo atteggiamento sempre più diffuso. Nell’Ottocento, con l’introduzione dei telai meccanici a vapore, non era più necessario che un tessitore possedesse anni di esperienza: bastava un operaio generico per produrre a ciclo continuo. Gli storici dell’industria chiamano questo fenomeno deskilling, cioè la perdita di valore delle competenze individuali a favore della standardizzazione e dell’automazione. Oggi, in ambito retail, assistiamo ad una curiosa rivisitazione del concetto: l’esperto sul campo, che dovrebbe tessere le fila della vendita informando, formando ed educando il consumatore finale, viene spesso percepito come non necessario.
Oggi possiamo parlare di deskilling percettivo del cliente: la tendenza, sempre più marcata, a sottovalutare le competenze del personale di vendita. Convinto che basti aver letto una scheda tecnica o visto una recensione per sapere “quanto basta”, molti clienti ritengono superfluo qualsiasi apporto umano. E oggi, con l’ausilio delle intelligenze artificiali — da Gemini a ChatGPT — il cerchio si chiude: se posso farmi spiegare tutto da un chatbot, perché mai dovrei ascoltare un commesso?
Competenza ignorata
Potremmo battezzarlo così: il paradosso dell’esperto inutile. Una condizione sempre più diffusa, in cui la competenza del professionista viene ignorata a priori, anche quando sarebbe determinante per evitare errori grossolani. L’esperienza sul campo, il contatto quotidiano con i prodotti, i feedback dei clienti veri — non quelli idealizzati nelle recensioni online — vengono messi da parte in favore di informazioni astratte, magari aggiornate, ma scollegate dal contesto reale.
Questa marginalizzazione silenziosa genera frustrazione. Non solo perché demotiva il personale, ma perché altera la qualità dell’esperienza d’acquisto. Un addetto vendita demoralizzato è meno proattivo, meno incline a proporre soluzioni alternative, meno coinvolto nel ruolo. Perché dovrebbe, dopotutto, visto che il cliente è convinto di avere già tutte le informazioni necessarie? Ma soprattutto, un cliente che rifiuta il confronto, oltre a demolire l’entusiasmo dell’addetto vendita, rischia di fare scelte meno adatte alle sue esigenze reali.
La formazione come ponte tra dati e persone
Eppure è proprio in questo scenario che la formazione torna ad avere un ruolo cruciale. Se l’intelligenza artificiale offre al cliente una prima bussola, è la voce del commesso preparato a poter confermare, smontare o affinare quella rotta. Non basta sapere che “sarebbe meglio acquistare un frigorifero in classe energetica A”: bisogna capire come quel dato si traduce nel concreto della vita domestica, tra abitudini, spazi e reali esigenze. L’addetto competente — aggiornato, curioso, formato — è in grado di trasformare l’informazione grezza in un consiglio tagliato su misura. Non sostituisce la tecnologia, ma la completa. Non si oppone al web, ma lo interpreta. E lo fa con uno strumento che nessun algoritmo può replicare fino in fondo: l’empatia applicata all’esperienza.
Rimettere in circolo la competenza
Le aziende del retail dovranno presto fare i conti con questo nuovo equilibrio. Continuare a investire nella formazione del personale ha un senso diverso oggi: non si tratta di aggiungere informazioni nella testa dell’addetto vendita, ma di aiutarlo a veicolare queste informazioni per concludere una vendita. Solo così si restituisce visibilità, ascolto e valore al ruolo del venditore. E questo passa anche da una comunicazione nuova verso il pubblico: ricordare che la competenza non è una voce autorevole che proviene da un pulpito, ma il consiglio di un amico per fare un acquisto consapevole.
È un po’ come con le scarpe. Online sembrano perfette: ottime recensioni, design accattivante, prezzo giusto. Poi le provi in negozio e scopri che stringono sul collo del piede, la pianta è troppo larga o scivolano sul tallone. Il venditore allora ti conferma che quella particolare marca “veste stretta sul collo” e quel modello è “largo di pianta”. E solo lui poteva fare queste considerazioni, perché ha visto centinaia di clienti come te prima.
Il commesso preparato deve fare proprio questo: guardare “camminare” il cliente, ascoltarlo, suggerire magari un altro modello che non aveva preso in considerazione. Ma, cosa più difficile, fare tutto ciò senza smontare le sue convinzioni.
Ecco perché la formazione non può essere solo un aggiornamento tecnico sui prodotti (non si potrà mai sapere tutto di tutto). Serve qualcosa di più sottile, quasi psicologico: la capacità di riconoscere i punti fermi del cliente, valorizzare quelli sensati e far emergere, con tatto, quelli che cozzano con la realtà. E poi, diciamoci la verità, sono tanto belle le recensioni on-line o le spiegazioni che si trovano su Internet, ma quando incontriamo una persona schietta e sincera scatta un meccanismo primordiale, siamo portati a fidarci di quella persona.
La competenza vera oggi è questa: non saperne di più, ma saperlo dire “con il linguaggio del consumatore”. Conquistare la sua fiducia con frasi che non sembrano uscite da un libro, ma dalla vita quotidiana. Perché una frase vera, detta con competenza e sincerità, vale più di cento frasi fatte. E ha il potere di ristabilire un rapporto di fiducia che oggi è più prezioso che mai. (g.m.)